“Tra i due litiganti il terzo gode”, recita uno dei più popolari proverbi nostrani.
Corollario di esperienze storiche e vicende personali, tale detto potrebbe ancora una volta manifestarsi e riprodursi al momento delle prossime elezioni nazionali. Il centrodestra nell’insolito ruolo di terzo polo affibbiatogli da PD e Cinque Stelle promette di riconquistare il terreno perduto con una grande alleanza tanto “difficile” quanto probabile.
Salvini e Berlusconi al 13% ciascuno, Meloni al 5%. Sommati fanno 31, due in più dell’attuale PD e quattro in più dell’attuale M5S. La politica non è fatta di addizioni, ma possiamo chiaramente constatare che qualora il centrodestra si presentasse unito alle prossime elezioni la formazione del nuovo governo dovrebbe quanto meno riguardarlo.
SCALA 40
Troppo alta la percentuale del 40% individuata dal Consultellum per accedere al premio di maggioranza, e allora largo al proporzionale, largo a ogni possibile combinazione di partiti e brand, nessuna in grado di raggiungere i 40 per calare le sue carte in tavola e finalmente fare le proprie mosse, come nel popolare gioco di carte italiano.
«Sento parlare sempre più spesso di grande coalizione dopo le elezioni. È un’idea sbagliata, le grandi coalizioni sono una patologia del sistema democratico», così Silvio Berlusconi smontava ogni possibile alleanza con Renzi all’indomani della manifestazione “Italia Sovrana” organizzata il 28 gennaio da Fratelli d’Italia. A quella manifestazione il Cavaliere non è andato personalmente, ma una rappresentanza del suo partito ha portato per lui il proprio sostegno. Un appoggio non esplicito, sia chiaro, perché le gerarchie di potere nella nuova grande coalizione di centrodestra sono ancora tutte da definire, ma la presenza di Brunetta, Santanché e Toti a Roma ha significato e significherà fino alle prossime elezioni solo una cosa: Forza Italia c’è.
Italia Sovrana è stato il luogo del ringiovanimento dell’ortodossia destrorsa. Un’operazione riuscita a Giorgia Meloni, che con Salvini ha indicato al carrozzone di centrodestra l’unica via percorribile e già testata: il ritorno ad un patriottismo economico in stile Sarkozy 2012. Dalla ridiscesa in campo dell’ex presidente transalpino, con la sua “lettera ai francesi” che in realtà fu una lettera minatoria agli immigrati, la storia politica occidentale si è arricchita di numerosi altri tentativi di ristabilire l’amato Stato forte. Ci è riuscito Orbán in Ungheria, ci riuscirà probabilmente Marine Le Pen, ce l’ha fatta Kaczyński in Polonia. Ed ovviamente ce l’ha fatta Trump.
Ce la farà anche il centrodestra secondo Matteo Salvini, ovviamente a patto che ce la faccia lui a divenirne il candidato premier. Questione spinosa, di soluzione non facile, dato che Berlusconi non ne vuole proprio sapere di perdere la leadership. La sensazione è che saranno i sondaggi pre-elettorali a convincere l’uno o l’altro candidato a rinnegare le mire verso la Presidenza del Consiglio, e se una convergenza fra i due non dovesse arrivare mai, allora più probabile il disgregamento del centrodestra che un’alleanza last minute di Forza Italia e PD che nuocerebbe all’immagine di entrambi.
Giorgia Meloni intanto gode della sua posizione di direttrice d’orchestra. La sua candidatura arriverà in un futuro non troppo lontano. Per adesso il suo ruolo nel consiglio comunale di Roma non le va più stretto come si disse nel post-comunali, ma anzi la legittima come unica esponente della futura coalizione senza mire personali, le permette uno sguardo distaccato sul suo centrodestra. Non è un caso che nelle ultime uscite televisive sia sembrata di gran lunga più decisa e coerente di Salvini e Berlusconi, alle prese con le loro tattiche per impadronirsi di Palazzo Chigi. Italia Sovrana è opera sua, la nuova narrazione in salsa lepenista del prossimo centrodestra sarà in gran parte di sua proprietà.
Di certo il no all’Europa del quale necessariamente si farà carico la nuova coalizione spaventa però Berlusconi, che negli ultimi tempi ce l’aveva messa tutta per recuperare il credito perduto nei confronti di Bruxelles durante la sua presidenza.
L’elezione di circa 20 giorni fa di Tajani (ex portavoce di Berlusconi) a Presidente del Parlamento Europeo è stato il coronamento di un processo di riavvicinamento del Cavaliere alle alte sfere europee. Per intenderci, Berlusconi è passato negli anni da «lo spread è un imbroglio» al seppur blando europeismo degli ultimi tempi, con il plauso della Merkel che infatti ha appoggiato Tajani.
Preparava insomma uno sbarco nelle aree centriste, e il Partito della Nazione è stato davvero un progetto fin quando non è naufragato Renzi e nel PD ha cominciato a soffiare il vento della scissione. Come spiegare altrimenti l’ambigua posizione di Berlusconi nei confronti del referendum?
Non sappiamo ancora se il leader di Forza Italia accetterà un ruolo da comprimario nel nuovo carrozzone di centrodestra, e non sappiamo neanche se renderà vani gli sforzi profusi in campo europeo per costituirsi come forza moderata e affidabile, di certo però ogni velleità di governo senza il suo apporto appare nulla, sia per il PD che per i suoi amici-nemici Salvini e Meloni. Non dovesse accordarsi con nessuno, però, anche il Cavaliere soccomberà, sicuramente in maniera più netta di qualunque altro partito. L’alleanza più probabile sembra dunque quella a destra, anche a costo di divenire per la prima volta nella sua carriera politica un number two.
AREA POPOLARE E AZIONE NAZIONALE
Va ricordato ovviamente che il centrodestra non è fatto di soli 3 grandi top player, e che la politica italiana ci ha mostrato più di una volta quanto possano essere rilevanti per le sorti di un governo anche partiti che sfiorano o neanche toccano la quota del 3%. Due chiari esempi in tal senso possiamo rintracciarli nel ruolo fondamentale che in tutta questa legislatura ha avuto Alfano e il suo NCD per la sopravvivenza dell’esecutivo renziano, così come l’importanza intermittente di Denis Verdini, leader di ALA.
In quella che sarà la prossima coalizione di centrodestra sia il primo che il secondo potrebbero non rientrare.
Il caso Alfano è forse quello di maggiore rilevanza, ed esso può essere sintetizzato da un altro detto della nostra tradizione nazionale, seppur stravolto: nessuno lo vuole e qualcuno se lo piglierà.
Insieme a Casini, il leader di NCD ha costituito da mesi un gruppo parlamentare denominato Area Popolare, che sarebbe dunque dovuto divenire in seguito un partito vero e proprio. Il “caso Alfano” consiste invece nel fatto che la nascita di questo nuovo soggetto politico non sia ancora avvenuta, mentre Casini intanto sta cercando di far riaccendere i riflettori sulla sua persona con un nuovo movimento politico chiamato “Centristi per l’Italia”, con la prima assemblea fissata per sabato 11 febbraio a Roma.
Il 30 gennaio, inoltre, il capogruppo dem alla camera Ettore Rosato ha dichiarato a la Repubblica che qualora a sinistra si formasse un listone che comprenda anche Pisapia, NCD non sarebbe di certo bene accetto, perché «Pisapia è un’operazione soprattutto culturale, mentre Alfano sarebbe un’operazione politica».
E a destra? Anche qui nessuna possibilità per “il traditore” Alfano, basti pensare che uno dei cori più gettonati nel corso di Italia Sovrana recitava: «Alfano come Badoglio!».
Sembrano quindi chiuse tutte le porte per NCD, ma se i sondaggi continueranno a darlo intorno al 3%, “un’operazione politica” si verificherà con ogni probabilità.
Quanto alla destra più radicale, Alemanno e Storace si sono riuniti nel nuovo partito Azione Nazionale. Il ponte tra i due e la nuova alleanza di centrodestra potrebbe essere solo Giorgia Meloni, che dal canto suo si era ripromessa di non scendere più a patti soprattutto con Alemanno, dopo che questi alle elezioni romane si era schierato con Marchini tradendola.
Eppure Alemanno va avanti parlando di “alleati” e “visioni comuni”… Se non sta inventando, allora la pace potrebbe essere già cosa fatta.
Valerio Santori
(Twitter: @santo_santori)