Se l’attuale panorama politico europeo è caratterizzato dall’instabilità interna che connota pressoché tutti i principali paesi del continente, il mondo del Calcio sta attraversando un periodo altrettanto instabile, le cui radici vanno però individuate in altre circostanze. Mentre gli equilibri politici dei vari governi europei sono stati negli anni messi a repentaglio dall’irruzione sulla scena di movimenti e partiti antisistema, contrari alla logica centralistica della finanza, lo scenario sportivo mondiale ha assistito ad una metamorfosi completamente opposta. I principali valori sportivi, l’intrattenimento in senso stretto, la passione per i colori e la maglia sono passati in secondo piano, lasciando man mano il passo alla figura del Dio Denaro, dominatore assoluto dell’attuale mondo calcistico, capace di ipnotizzare la mente di calciatori, allenatori e dirigenti e di spostare gli equilibri da una squadra all’altra in men che non si dica. In altre parole, oggi siamo di fronte ad un Calcio succube di irresistibili logiche finanziarie.
Il match di Champions League di martedì sera al Louis II di Parigi rifletteva in maniera perfetta ciò che stiamo raccontando: le due regine del marketing e della finanza calcistica si sfidavano a colpi di milioni, contrapponendo giocatori costati fior di quattrini e retribuiti ancor di più. E per una delle due è arrivata addirittura la beffa (l’ennesima), rappresentata dall’eliminazione da una competizione sulla cui conquista si era fondata tutta la strategia finanziaria di inizio anno, culminata con l’assurdo acquisto di Neymar Jr per 220 milioni dal Barcellona. Eppure, siamo sicuri che l’ennesimo incidente di percorso non frenerà le “ambizioni” dei proprietari parigini, che, come accaduto negli scorsi anni, continueranno ad investire.
La causa di tutto ciò va individuata nel fatto che negli anni il Calcio è stato sempre di più visto da alcuni acuti investitori come lo strumento fruttifero per eccellenza: quel mezzo che, se usato nei termini giusti, ti garantisce allo stesso tempo fama, successo ed entrate monetarie considerevoli. Ed è proprio la prorompenza, la dominanza di questa simbiosi tra calcio e finanza a guidare gli intenti dei principali investitori. Tra coloro che investono per “lavoro”, coloro che lo fanno per dare una ripulita ad alcune entrate che altrimenti sarebbero difficilmente giustificabili e coloro che rilevano società di calcio sostenendo spese folli per pura bramosia di potere, si contano ormai sulle punte delle dita le figure di coloro che investono in una squadra di calcio con l’obiettivo di portare il suo nome in alto e di farla distinguere nel mondo per la quantità di successi o la qualità del gioco espresso.
Per l’effetto, al giorno d’oggi, stando a quanto rivelato dal Sole 24 Ore, il Calcio è la più grande industria di intrattenimento in Europa, capace di produrre 18 miliardi annui, generati attraverso gli stadi, le pay tv ed altre annesse risorse. Purtuttavia, pare che questa somma sia realizzata solo grazie alle attività finanziarie dei principali 31 club europei, e cioè i più ricchi del Continente: da Real Madrid a Barcellona, da Chelsea a Manchester United, e così via. Insomma, pare che la centralità della logica finanziaria nel calcio non si sia nemmeno tradotta in un benessere generale per tutti i club, ma abbia avuto come effetto soltanto la stabilità e la crescita economica di alcune squadre, e cioè quelle “scelte” da quegli investitori le cui azioni hanno prodotto nel tempo risultati positivi.
Conseguentemente, l’attuale scenario calcistico è dominato dall’ormai noto cospicuo gruppetto di club che, oltre che contendersi annualmente lo scettro d’Europa, alloggia frequentemente nelle prime posizioni dei vari campionati europei, lasciando sempre meno spazio a squadre con minori possibilità di investimento, che si ritrovano sistematicamente a lottare invano per la conquista di una posizione che permetta l’accesso ad una delle varie competizioni internazionali. Per l’effetto, la forbice dei campionati si allarga sempre di più, e la nostra Serie A ne è l’esempio perfetto: la differenza tra le prime 7 e le restanti compagini è abissale, e ciò, salvo gli scontri diretti tra le prime della classe, rende il campionato meno avvincente sul piano dello spettacolo e dell’intrattenimento.
E allora ci si chiede se abbia ancora senso continuare su questa strada, lasciare che le grandi d’Europa continuino con i loro folli acquisti da 220 milioni per un solo giocatore con il solo scopo di rafforzare la propria posizione economica nel panorama calcistico finanziario. Non sarebbe meglio ri-provvedere a garantire una equa distribuzione delle risorse finanziarie rimettendo in gioco anche le squadre con budget più limitati? Il tutto ai fini di una maggiore competitività e di un maggiore intrattenimento per noi tifosi, in modo tale da non essere costretti ad attendere l’incrocio tra le big del campionato o di Europa per poterci godere un po’ di spettacolo in più rispetto alla ordinaria noia regalata dalle normali partite di calendario.
L’Uefa ha cercato di porre un freno al business sfrenato di alcuni club con l’introduzione del Fair Play finanziario. Sono stati fatti dei passi avanti sul piano dell’efficacia sanzionatoria, nella misura in cui alcune società si sono viste bloccare, per alcune sessioni, il mercato in entrata e/o in uscita a causa di una errata applicazione delle disposizioni. Tuttavia, questo non ha impedito ai club di individuare sotterfugi vari attraverso i quali raggirare le regole sul Fair Play. Pertanto, bisogna fare di più e cercare di introdurre ulteriori limiti a quelle società che già dominano in maniera incontrastata lo scenario sportivo, allo stesso tempo introducendo incentivi di crescita per i piccoli club al fine di stimolare una loro graduale crescita, recuperando, così, un vero equilibrio finanziario che restituirebbe al calcio la sua reale dimensione.
Ma quante le speranze di assistere ad un cambiamento del genere? Sembrerebbe poche. E allora, nell’attesa di un poco probabile cambiamento, non ci resta che affidare le nostre speranze ad una maggiore diffusione di quelle fantastiche storie chiamate miracoli sportivi: apprezzare quei pochi casi virtuosi di squadre che, senza l’apporto determinante del denaro, ma con le proprie energie interne, riescono a raggiungere traguardi insperati: la favola del Leicester e l’Atalanta degli ultimi anni sono esempi che noi appassionati, amanti dello sport e delle emozioni, ci auguriamo di vedere sempre più spesso.
Amedeo Polichetti