calcio inglese

Il calcio inglese si è finalmente preso la sua rivincita. Dopo anni di cifre record spese sul mercato cui hanno fatto seguito soltanto delusioni nel contesto calcistico europeo, dominato dall’egemonia spagnola, quest’anno la certezza è che un club inglese porterà a casa sia la Champions League che l’Europa League. Non era mai accaduto nella storia delle competizioni UEFA che quattro squadre provenienti dallo stesso Paese si contendessero il titolo finale in entrambi i tornei. E a scatenare un “simpatico” paradosso, poi, è il fatto che il Paese in questione sia proprio l’Inghilterra, proprio in quello che dovrebbe essere (salvo ulteriori rinvii) l’anno della Brexit: da un lato un governo che, pur faticando nel raggiungere un accordo di uscita soft dall’Unione, non perde occasione per ribadire la sua contrarietà alle politiche europee, dall’altro un modello di calcio che, al contrario, si impone con forza nello scenario europeo dimostrando di valere molto di più dei milioni investiti nel corso degli ultimi anni.

Wijnaldum, Alexander-Arnold e Henderson celebrano il terzo gol segnato al Barcellona nel ritorno della seamifinale di Champions League (Clive Brunskill/Getty Images)

Eppure, sembra impossibile negare che siano stati quegli stessi milioni di sterline ad aver fatto la differenza e ad aver permesso ai club inglesi di riconquistare il trono del calcio europeo. La svolta si è registrata soprattutto nel settore dei diritti tv, grazie all’entrata sul mercato di una nuova emittente televisiva britannica, BT Sport, che ha di fatto interrotto il dominio di Sky nel settore televisivo calcistico, comportando un significativo aumento delle offerte per la concessione dei diritti televisivi. Un report del quotidiano Milano Finanza, basato su uno studio condotto dalla società di consulenza Ernst & Young, ha rivelato come nell’anno calcistico 2017-18 ai 20 i club della Premier League abbiano incassato circa 2,7 miliardi di euro dalle varie emittenti, precisando come tale cifra sia destinata ad aumentare nel triennio 2019-2022, rispetto al quale Sky e Bt Sport hanno complessivamente versato nelle casse dei vari team 4,6 miliardi a titolo di diritti tv. Ebbene, se si pensa che le entrate generate dalla vendita dei diritti televisivi nel campionato italiano sono pari ad appena 1,5 miliardi, ne consegue che una squadra di media-bassa classifica della Premier League ha pressoché lo stesso margine di spesa sul mercato di una big italiana abituata a frequentare le zone alte della classifica. Il gap appena descritto è segno dell’egemonia economica del calcio inglese sul piano internazionale, che, di fatto, consente ai club di portare a termine acquisti importanti sia in termini di giocatori e di allenatori, ma, soprattutto, in termini di infrastrutture. L’indecente stato di decadenza di alcuni degli stadi italiani, unitamente alla mancanza di infrastrutture sportive adeguate è qualcosa di impensabile in un paese come l’Inghilterra, che ha fatto del calcio uno strumento di crescita economica interna senza eguali. A tal riguardo, una delle principali voci di crescita è inevitabilmente rappresentata dalle vendite dei biglietti di entrata allo stadio, che, a prescindere dalla categoria di riferimento, registrano dei numeri pazzeschi: si pensi che i campionati di seconda, terza e quarta divisione hanno raggiunto la cifra record di 18,3 milioni di spettatori durante la stagione 2018-2019, con una presenza media negli stadi di 11.000 spettatori (fonte: Calcio&Finanza). Ciò accade in virtù di tanti fattori che spingono il tifoso a recarsi allo stadio, come, ad esempio, infrastrutture sicure, una diffusa campagna di tesseramento da parte del club, la creazione di una rete di trasporti che renda più agevole il raggiungimento della struttura sportiva, e così via.

In tal modo, al dominio del calcio inglese sul piano economico si accompagna quello sul piano dell’intrattenimento. Rimonte come quelle del Liverpoolabituato, peraltro, ad imprese al limite dell’ordinario – e del Tottenham hanno donato a questa edizione della Champions League quel tocco di magia che negli ultimi anni è stato solo sfiorato, regalando emozioni che hanno persino fatto dimenticare la favola, purtroppo senza lieto fine, dell’Ajax, ridimensionata di fronte alla pazzesca remuntada degli Spurs, o le prodezze di Leo Messi, spazzate via dalla fantastica performance dei Reds.

Le imprese registratesi nelle semifinali di Champions non sono altro che il frutto di quella alta competitività insita nella Premier League, senza dubbio il campionato più combattuto e difficile al mondo; e a dirlo sono i dati, considerando che nell’ultimo decennio il torneo inglese è stato l’unico in Europa nel quale si è assistito ad una folta alternanza di vittorie tra diversi club, difficilmente verificabile negli altri campionati. In altre parole, i successi alternati di Manchester United, Manchester City, Chelsea e Leicester sono la dimostrazione della eccezionalità, della bellezza e della competitività della Premier: nulla a che vedere con la Spagna, dove Real Madrid e Barcellona si contendono il titolo praticamente da sempre, né tanto meno con Francia, Italia e Germania, dove ormai le vittorie del campionato da parte di PSG, Juventus e Bayern Monaco non fanno più notizia.

L’alta difficoltà e competitività proprie della Premier fanno sì che quel modello di calcio basato su un forte tatticismo ceda il passo ad uno basato sul pressing alto, sull’aggressività, sulla corsa e, in difesa, sulla fisicità. A beneficiarne talvolta non è la squadra stessa, bensì il pubblico, che in questo modo assiste ad uno spettacolo fatto di raffiche di gol e di grandi giocate. A tale impostazione hanno dovuto adeguarsi persino gli allenatori tattici per eccellenza come Maurizio Sarri e Pep Guardiola, che, infatti, più di una volta nel corso del campionato e delle coppe europee, hanno pagato l’eccessiva impostazione tattica delle proprie squadre, surclassate dal pressing alto e dalla fisicità degli avversari.

Insomma, il calcio inglese rappresenta uno sport a sé. Non è semplicemente calcio, è intrattenimento puro, che nel contesto internazionale esalta tutte le sue potenzialità a beneficio degli spettatori e degli appassionati. Ma è anche un modello di business che genera entrate e fa bene non soltanto ai club ma anche al Paese. In altre parole, un modello che anche gli altri club europei farebbero bene ad adottare, se non vogliono che le principali coppe europee rimangano tra i confini inglesi anche per gli anni a venire.

Amedeo Polichetti

fonte immagine in evidenza: www.repubblica.it

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