Camara Fantamadi: nelle campagne dove batte il sole si muore di fatica
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Nelle strade di campagna si respirano le stagioni. La pioggia cade battente dove non ci sono tetti. Il sole invece colpisce forte, soprattutto d’estate e al Sud. Aveva lavorato nei campi per 4 ore Camara Fantamadi. Aveva zappato la terra per una paga di 6 euro l’ora: era salito in bici, direzione Tuturano, frazione di Brindisi, per tornare a casa del fratello dove era ospite. Camara Fantamadi era un bracciante, aveva 27 anni e in quella casa non è mai arrivato. Un malore glielo ha impedito. Quel giorno le temperature si aggiravano sui 40 gradi.

Prima di lui, altre due persone erano morte in Puglia in soli due giorni: Antonio Valente e Carlo Staiani. Non erano braccianti, il primo lasciava volantini nelle buche delle poste, l’altro era il conducente di un’autocisterna. A seguito delle morti il presidente della Regione Michele Emiliano ha emesso un’ordinanza regionale che ha vietato «Lavorare in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle ore 12:30 alle ore 16:00 con efficacia immediata e fino al 31 agosto 2021». Adesso anche in Campania si fanno sentire delle voci.

La mobilitazione in Campania

«Il 30% della popolazione mondiale è attualmente esposta a condizioni di caldo particolarmente critiche per la salute per almeno 20 giorni all’anno e tale percentuale è destinata ad aumentare nei prossimi anni anche se le emissioni di gas serra tenderanno a ridursi» si legge su Woklimate. Grazie a un progetto del Centro nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), è possibile consultare le mappe che hanno un rischio termico su tutto il territorio nazionale.

Basta poco per vedere quanto il caldo non lasci tregua, in alcune regioni più che in altre. Per questo CGIL, Libera e Legambiente Campania chiedono che la Regione intervenga: «Bisogna rimodulare gli orari di lavori di chi opera nei settori più esposti come l’agricoltura e l’edilizia. E bloccando le lavorazioni nelle ore di punta come fatto nella Regione Puglia. Per questo – concludono – riteniamo che un provvedimento regionale, in questo momento, non sia solo urgente ma costituisca un atto di civiltà nei confronti di migliaia di lavoratori e lavoratrici essenziali». La richiesta, avanzata al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e all’assessore regionale all’Agricoltura Nicola Caputo, è di adottare una misura regionale sulla scia di quanto è stato fatto in Puglia.

A poche ore dall’appello Afragola ha deciso da sé: la città della provincia di Napoli, infatti, è stata la prima a emanare un’ordinanza che ha vietato lo svolgimento del lavoro agricolo sul territorio dalle 12.30 alle 16.30 fino al 31 agosto. Per tutelare la salute dei braccianti. A deciderlo è stata Anna Nigro, commissario straordinario che fa le veci del sindaco, essendo il comune commissariato. Alcuni media hanno considerato il provvedimento preso in Campania “storico”. Come un evento straordinario insomma, di cui ricordarsi per la sua eccezionalità.

Diritti e campagne: di eccezionale dovrebbe esserci ben poco

L’articolo 32 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Lo hanno ripetuto politici e media nell’ultimo periodo ma lo dicevano mentre si parlava di Coronavirus. Sul sito del ministero della salute si leggono i consigli da seguire per ridurre le conseguenze nocive delle ondate di calore: «Limitare l’esposizione alle alte temperature e migliorare l’ambiente domestico e di lavoro». Una raccomandazione che in effetti mal si sposa con la condizione di chi lavora nella campagne per una manciata di euro all’ora, di quelli che faticano senza acqua fresca e servizi.

Spesso si tratta di lavoratori pagati poco e male. L’assenza di controlli e le mancate prevenzioni alimentano così lo status di sfruttati. Ce ne sono tanti di invisibili e quella di Camara Fantamadi è solo l’ultima di una serie di storie che vengono raccontate ciclicamente. Paola Clemente, Abdullah Mohamed e tanti altri: tutti nomi di lavoratrici e lavoratori morti – letteralmente – di fatica e caldo.

Il lavoro portato avanti sotto il sole cocente d’estate rappresenta l’emblema di un sistema in cui i carnefici e le vittime appartengono alla stessa specie. Perché oltre alla retorica c’è una verità fatta di temperature incontrollabili, sempre maggiormente diffuse anche dagli effetti del cambiamento climatico. Dall’altro il disvelamento di quel “fratello che è ancora figlio unico” perché sfruttato, malpagato, derubato del proprio lavoro e scippato dei propri diritti.

Non sarà una normativa a migliorare le condizioni climatiche o di lavoro di quanti lavorano nei campi o all’aperto. Ma può essere un primo passo per riconoscerne i diritti fondamentali e magari per evitare che qualche altra vita venga stroncata per la fatica. Perché è vero che nelle strade delle campagne si respirano le stagioni e che il sole colpisce forte, soprattutto d’estate e al Sud. Ma è assurdo pensare che si possa morire in questo modo.

Alba Dalù

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

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