Vivere in conflitto col proprio corpo non è cosa esclusiva dei tempi moderni, ma la crescente importanza dell’apparire, corroborata dall’avvento dei social networks, ha contribuito a creare in molti, soprattutto tra i giovani, una deleteria competizione puramente estetica. Come in una lotta all’ultima bellezza, i difetti, piccoli o evidenti che siano, sono diventati nemici da debellare ad ogni costo: mediante appositi interventi virtuali (pose fotografiche strategiche, filtri ecc.) o di chirurgia estetica, laddove è possibile. Tutto ciò ha dato vita a una sorta di alienazione rispetto al proprio corpo che, di conseguenza, non ha fatto altro che ostacolare il difficile processo di accettazione individuale, nonché la vita stessa, spesso, chiusa come tra “Le Due Gobbe” dell’apparenza.
Il problema è che spesso si trascurano strade alternative dinanzi ai propri difetti. L’autoironia, l’unicità di avere alcune peculiarità, il concentrarsi su altri aspetti da coltivare e su cui far luce costituiscono un buon metodo per affrontare il giudizio personale e altrui, sebbene quest’ultimo debba contare ben poco. Se conoscere e accettare il proprio corpo, però, può risultare talvolta difficile, più semplice può essere trarre un buon insegnamento dalla lettura di una favola africana dal titolo “Le Due Gobbe”.
La favola “Le Due Gobbe” è tratta da una raccolta (“Favole dall’Africa”) pubblicata in Italia nel 1986 a cura di padre Lino Ballarin (1920), un sacerdote veneto che trascorse in Africa diciassette anni come missionario, tra il 1961 e il 1978. Le fiabe dell’opera appartengono alle popolazioni della fascia centrale del continente africano, dal Senegal al Kenya. La storia in oggetto si presenta come una favola per giovani particolarmente edificante al fine di imparare ad accettare le proprie deformità fisiche così che non possano divenire più grandi di quanto in realtà non siano.
Il titolo della favola, “Le due gobbe”, rivela sin dall’inizio la deformità con cui due donne di origini africane devono confrontarsi. Le due diventano il simbolo di due diversi atteggiamenti assumibili dinanzi a ciò che talvolta non si accetta del proprio aspetto, suggerendo in modo semplice e spontaneo al lettore quale sia quello giusto ed efficace.
La favola africana racconta di una donna di nome Kari ossessionata dalla presenza di una piccolissima gobba, appena visibile, per coprire la quale sarebbe bastata «una camiciola ben drappeggiata.» Tuttavia, il peso che la donna si porta addosso non è solo quello della gobba, ma il giudizio personale che lei stessa si dà, mentre si mescola alle battute delle amiche, che maliziosamente paragonano la piccola gobba ad un bebè. L’indelicato scherzo delle amiche, gli occhi giudicanti della società costituiscono un vero limite nella vita della protagonista, tanto da mandare in crisi il matrimonio col marito Momar.
Questi, infelice dalle pieghe che aveva prende il matrimonio, decide di sposare una seconda moglie di nome Kumba. La seconda protagonista della favola africana si caratterizza anch’ella per una gobba ben più visibile della prima protagonista. Ciononostante, il peso è impercettibile e alle medesime battute sul bebè, Kari risponde con una pronta e sagace autoironia.
La seconda moglie di Mamar riesce, dunque, a non limitare la propria vita per una peculiarità fisica e in virtù della sua benevolenza verso se stessa e gli altri ottiene in premio una magica rimozione della gobba, che invece andrà a posarsi, in aggiunta alla prima, sulle spalle di Kari, la prima moglie. Quest’ultima, disperata, si getta in mare. Questi, riluttante ad inghiottirla, lascia a galla le due gobbe che dal quel giorno «il sole colora ogni sera con i suoi raggi prima di lasciare la terra africana. E sono le gobbe di Kari trasformate in due isolette.»
La favola africana, in piena coerenza con l’intento didattico del genere, vuole, dunque, insegnare quanto la bellezza non sia indispensabile ai fini della felicità, e che la vera virtù non è nel fascino dell’apparenza, bensì nel cuore dell’individuo, nella sua capacità di vivere pienamente la propria vita. Le protagoniste de “Le due gobbe” diventano il simbolo del duplice atteggiamento che ognuno può assumere difronte a se stesso, pertanto la scelta del singolo resterà sempre la goccia di un vaso o di felicità o di difetti.
Alessio Arvonio