Era il 9 luglio del 2006 quando l’Italia si laureò campione del mondo per la quarta volta nella sua storia. Memorabile la semifinale contro i padroni di casa, la Germania, che ci condusse in finale a sfidare la Francia che, qualche anno prima, ci aveva soffiato un europeo. Da quel trionfo è iniziato un lento ma inesorabile declino verso una crisi profonda.

Eppure, quel mondiale di calcio per l’Italia iniziò sotto la pesante macchia di “calciopoli” che, grazie anche alle grandi doti strategiche e motivazionali del commissario tecnico di allora Marcello Lippi, furono tenute lontano dalla trance agonistica e dalla mente dei calciatori azzurri che, grazie anche allo splendido momento di forma dei suoi pilastri principali, condussero una cavalcata memorabile ed avvincente verso la vittoria finale.

Oggi raccontiamo una storia diversa. L’Italia non parteciperà al prossimo campionato mondiale di calcio, superata dalla Svezia negli spareggi in una partita che sarà ricordata per sempre come una delle pagine più brutte della storia del calcio italiano. Addirittura una Svezia quasi completamente priva di campioni affermati o almeno esperti ha sbarrato la strada alla più blasonata nazionale italiana che addirittura temeva questa sfida.

Certo, ci sono state anche scelte tecniche incomprensibili di Giampiero Ventura che di certo non hanno aiutato a risolvere una situazione complicatissima, ma fare di Giampiero Ventura il capro espiatorio nella notte fonda della federazione è un errore.

Cosa ha portato a questo terribile tracollo? Le risposte vanno ricercate in più ambiti e sono, forse, fin troppo evidenti. Molte delle squadre italiane si trovano, da diversi anni ormai, a schierare una moltitudine di calciatori stranieri. Davvero emblematica è stata, ad esempio, l’Inter dello storico triplete, dove escludendo il solo Marco Materazzi, i nerazzurri schieravano una formazione totalmente priva di calciatori italiani.

In una serie A così priva di opportunità per i giovani talenti nostrani doveva essere già palese l’epilogo a cui il calcio italiano sarebbe giunto nel giro di pochi anni e, forse, per molti lo era già. Erano già tanti i campanelli d’allarme lanciati, infatti, tra tifosi e stampa. Così, mentre negli altri paesi si sono riorganizzati, con dei programmi di salvaguardia, dei vivai concreti ed efficaci, in Italia come al solito si arriva sempre dopo molti anni alla consapevolezza di dover iniziare ad adeguarsi ed allinearsi ad un mondo che cambia di corsa e ci si ritrova quindi a rincorrere gli altri che, intanto, sono già tanto avanti.

Dopo la clamorosa uscita di scena contro la Svezia, di sicuro non si stava iniziando il percorso di ricostruzione nel migliore dei modi. Carlo Tavecchio, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, tardava infatti a presentare le proprie doverose dimissioni. Doverose perché, da dirigente, doveva responsabilmente mettersi da parte in quel momento molto difficile. Cosa che è avvenuta poi lo scorso 20 novembre.

Il presidente dimissionario della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Carlo Tavecchio. Chi ci sarà a guidare l’Italia?

Il periodo di torpore in cui il calcio italiano si è lasciato andare è stato anche favorito dall’avvento massiccio della voce di bilancio “diritti TV” che è diventata la voce di incasso principale delle società di calcio. Purtroppo, però, la suddivisione della torta non è mai avvenuta in maniera equa perchè per ovvi motivi economici vengono favorite maggiormente le squadre con il bacino di utenza maggiore che portano a più ascolti, più share, maggiore possibilità di guadagno dalla vendita degli spazi pubblicitari ecc…Questo è il motivo per cui in Italia – ma in verità non solo nella nostra penisola – si assiste a tornei dominati ormai da una, al massimo due squadre.

Queste dinamiche hanno portato non solo alla fuga dei principali campioni, anche stranieri, dall’Italia, ma anche il rifiuto quasi sistematico delle maggiori stelle del calcio internazionale che preferiscono ormai destinazioni più redditizie e, in seconda battuta, almeno più spettacolari. Intanto, i nostri giovani faticano a crescere in queste condizioni, e non sono nemmeno aiutati da concrete politiche di sviluppo dei talenti nostrani.

Si è toccato il fondo, come fare per risalire? Un esempio da seguire potrebbe essere proprio quello della federazione tedesca che ha già vissuto le sue pagine più nere riuscendo a recuperare in breve tempo credibilità e forza. Ma quali sono state le mosse che quest’ultima ha attuato per risalire la china?

Non ci volevano certo i tedeschi per capire che il primo passo fondamentale da compiere è quello di favorire la nascita, la corretta gestione e la crescita di strutture idonee ad ospitare ed addestrare giovani calciatori seguendoli anche nel loro percorso di formazione personale, anche scolastica.

La riforma, rivelatasi vincente, del calcio tedesco ha le sue origini nel 2000 quando la Germania uscì eliminata dai campionati europei senza superare la fase a gironi. Quindi le basi per la rinascita sono state poste immediatamente dopo quel brutto tonfo ed il punto di partenza fu che a tutte le squadre della Bundesliga fu fatto obbligo tassativo di creare accademie di calcio per i giovani. Si sono poi create reti di collegamento tra le varie accademie e si è giunti addirittura ad organizzare dei vivacissimi tornei giovanili divenuti popolarissimi.

I frutti di queste iniziative sono arrivati con una velocità impressionante: il programma di ricostruzione ha consegnato alla nazionale tedesca alcuni gioielli che disputarono, proprio nel 2006, un ottimo campionato del mondo fino alla storica semifinale persa proprio contro l’Italia. Tra gli altri ricordiamo Lahm, Shweinsteiger, Podolsky. Poi negli anni a seguire ricordiamo Ozil, Khedira e tanti altri ancora.

Oggi la nazionale tedesca è tornata ad essere sempre una delle squadre da battere come lo era un tempo, e non può essere un caso il fatto che i risultati degli ultimi anni siano giunti puntando proprio sui giovani. Ricetta che ha portato a risultati praticamente immediati.

Attualmente in Germania si possono contare circa 400 centri di ricerca e addestramento di talenti. Le squadre di federazione hanno inoltre l’obbligo di traferire i propri giovani migliori in sessioni di allenamento supplementari. Inoltre, tutta la rete di addestramento è a stretto contatto con tutta la rete di allenatori e squadre professionistiche: in questo modo i talenti veri non sfuggono.

Ecco, l’Italia deve partire da questa ricetta e dall’esempio tedesco. Per il momento, i prossimi mondiali saranno orfani della nazionale italiana che starà a guardare. Che vinca il migliore.

Salvatore Annona

 

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