Le proteste che da dieci giorni attraversano la Romania ricordano quelle di Euromaidan di 4 anni fa.
Il copione sembra quasi lo stesso: i partiti al potere nell’Europa dell’est, eredi dell’apparato dei vecchi regimi comunisti, non riescono a far fronte alla corruzione dilagante nei propri paesi, anzi, spesso lasciandosi travolgere; le forze di opposizione, di matrice liberale e nazionalista, si fanno promotrici di una lotta anti-corruzione insieme a una propaganda europeista e liberista.
Il Partito Socialdemocratico (PSD), vince ancora una volta le elezioni dello scorso dicembre 2016, con un astensionismo altissimo — vota solo il 39% dell’elettorato — e in un generale clima di sfiducia e di rabbia verso una classe politica corrotta.
Le prime forti proteste contro la malapolitica romena sono esplose all’indomani dell’incendio del club Colectiv che, a causa dell’inagibilità del locale, è costato la vita a 64 persone (tra le quali una cittadina italiana).
Ciò che ha fatto scendere in piazza, allora, i rumeni è stata l’associazione tra il mancato controllo della struttura del locale ed il giro di tangenti, che ormai ha invaso ogni singolo aspetto della vita del paese.
Se con le dimissioni dell’allora Premier socialdemocratico, Victor Ponta, la tensione tra governo e cittadini sembrava allentarsi, le manifestazioni riprendono fortemente per una controversa legge, proprio in materia di corruzione.
All’indomani delle elezioni politiche il PSD torna il partito di maggioranza col 46% alla camera, ma poco è cambiato rispetto alla situazione che le ha precedute: da una parte la crescita del “partito pigliatutto” Unione Salva Romania a terza forza politica del paese, e la stabilizzazione del Partito Nazional Liberale come seconda forza politica; dall’altra, il vento nazionalista delle formazioni xenofobe, che fanno leva sull’emergenza migranti e sul populismo ma divise, come il paese, sull’integrazione nell’Unione Europea, che è il centro della questione rumena.
I rapporti con Bruxelles sono la posta in gioco della Romania.
La sua crescita economica, tra le più forti degli stati membri dell’UE (prevista dalla Commissione Europea oltre il 5% nel 2016), va sostenuta, ma la dilagante corruzione potrebbe costituirne un freno.
Se non si assicura la stabilità sono a rischio l’adesione a Schengen, l’adozione dell’euro e lo stanziamento degli stessi fondi europei, con i continui richiami dall’Unione Europea sull’inefficienza nel porre un freno alla corruzione dilagante.
È proprio per lanciare un forte segnale verso Bruxelles che si è scelto, con le dimissioni di Ponta nel 2015, di formare un governo tecnico col sostegno di centrodestra e centrosinistra, affidato a Dacian Cioloş, ex-Commissario europeo all’Agricoltura.
L’intero arco parlamentare romeno ha scelto Cioloş credendo di poter ripulire la propria immagine, intaccata dai continui scandali per tangenti e abusi di potere, ma ha dato un esito inaspettato: i partiti, soprattutto il PSD, hanno perso ulteriore credibilità, incapaci di riformare un sistema marcio, costituendone invece la base; lo stesso Primo Ministro, al contrario, in un solo anno di governo ha dimostrato di poter governare senza incassare mazzette, guadagnando il 46% della popolarità tra gli elettori, secondo i sondaggi.
Con le elezioni, se i socialdemocratici hanno una maggioranza bulgara alla Camera, per effetto della legge elettorale al Senato, sono costretti a un’alleanza coi liberali dell’ALDE (Alleanza dei Liberali e dei Democratici) .
Sullo sfondo, rimane in agguato l’ombra della popolarità di Cioloş, dietro la quale si nasconde lo sgambetto del Presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, che vuole porre alla guida l’ex-Premier senza partito, in una lunga guerra a distanza tra il suo partito, il PNL, e il Presidente del PSD, Liviu Dragnea.
Dragnea è inoltre l’emblema dei problemi del suo partito con la giustizia; basti pensare che è interdetto dagli incarichi pubblici per frode elettorale e per corruzione e, coi continui problemi dei vertici del centrosinistra, in caso di caduta dell’attuale Premier Grindeanu, il Capo dello Stato, secondo la costituzione rumena, può nominare capo di Governo chiunque voglia.
È possibile che la prima scelta di Iohannis, in caso di caduta della maggioranza, possa ricadere su Cioloş, che porterebbe a una partecipazione del suo partito nell’esecutivo.
Le continue manovre politiche del PSD contro i liberalconservatori, e l’ambizione di Dragnea, che non ha mai nascosto di voler tornare a guidare la Romania, sono alla base della legge “salvacorrotti”, che ha scatenato le più forti proteste dai tempi di Ceausescu.
La misura in materia di tangenti è stata contestata innanzitutto perché approvata con un decreto legge, quindi con una procedura che affretta i tempi, scavalcando il procedimento legislativo delle Camere, messe direttamente al voto del disegno legislativo del Governo.
Le caratteristiche della proposta dell’esecutivo consistono in una riduzione della soglia per i reati di corruzione ed abuso di ufficio al di sotto del valore di 44mila euro per i danni allo Stato, una misura vista prima di tutto un salvagente per Dragnea, i cui danni al Paese sono stati stimati in 24mila euro.
L’approvazione della legge il 31 gennaio scorso ha scatenato 10 giorni di protesta, in cui si chiedono le dimissioni del Governo.
Le conseguenze delle manifestazioni non si sono fatte attendere, con la presentazione di una mozione di sfiducia delle opposizioni, che però non ha avuto i voti necessari per essere approvata.
Alla guida delle proteste si è posto lo stesso Presidente della Repubblica, che ha scatenato anche le proteste dei cittadini che sostengono il PSD, affermando che «le dimissioni di un ministro (Florin Iordache, alla giustizia, NdR) non saranno abbastanza».
Come risultato delle polemiche per le sue dichiarazioni, Iohannis, per non compromettere l’imparzialità della sua carica, ha dovuto marcare una distanza dai manifestanti, che chiedono le dimissioni del governo.
Ormai lo sbilanciamento del Capo dello Stato rispetto ai suoi compiti ha prodotto le sue conseguenze, che fanno perdere la guida delle manifestazioni ai liberali: i manifestanti trovano sponda nelle destre, col rischio di portare il Paese a una contrapposizione sul modello ucraino.
Le proteste non si fermano, nonostante non si registrino più i 500.000 attivisti del 5 febbraio a Bucarest, nonostante il freddo e i tentativi del Governo di riconciliarsi con la piazza.
La situazione sembra non calmarsi, almeno nel breve periodo.
In ballo ci sono la prima Presidenza della Romania al Semestre Europeo, oltre ai fondi europei, per non parlare del delicato equilibrio internazionale, con una nuova sfida USA-Russia, sul punto di ricominciare.
Basti ricordare come la Romania sia uno degli avamposti NATO nell’Est europeo, e importante snodo commerciale sul Mar Nero, rientrante nel progetto degli Usa di tagliare fuori Putin dagli accordi commerciali su quell’area.
Basti ricordare le rivelazioni di Anonymous sulle guerre degli Stati Uniti in Medioriente, all’indomani dell’11 settembre.
Eduardo Danzet