Marcello Squillante è il fisarmonicista e cantante degli Ars Nova Napoli, un gruppo di giovani musicisti che ha fatto della musica folk, napoletana e italiana in generale, il suo marchio distintivo.
1. Perché vi chiamate Ars Nova Napoli?
Abbiamo scelto il nome per caso: quando eravamo più piccoli, poco più che diciottenni, andavamo in giro a suonare e ogni volta ci presentavamo con un nome diverso. Una volta, a Sorrento se non sbaglio, sulla locandina scrissero Ars Nova e da allora il nostro nome è questo. Abbiamo aggiunto noi Napoli nel nome perché cercando su YouTube ci siamo resi conto che esistono tantissimi gruppi che si chiamano Ars Nova! Addirittura c’è un gruppo rock di ragazzi giapponesi che si chiama Ars Nova Tokyo, per cui per differenziarci abbiamo messo anche noi la nostra targa…
2. Il genere di musica che suonate è il folk: perché questa scelta, in un mondo sempre più dominato dalla musica commerciale?
In realtà noi siamo molto appassionati di musica popolare, il che ci ha permesso, quando eravamo più piccoli, di incontrare musicisti di strada e farci conoscere. Prima non era come adesso, a Napoli potevi scendere per strada e suonare per le vie e le piazze del centro storico, non c’erano tutti questi bar che ci sono ora. Questo ci ha sicuramente aiutati molto e la musica popolare che suonavamo per le strade è rimasta il genere che suoniamo assieme attualmente.
3. Non suonate solo musica folk napoletana però…
Di sicuro la musica che suoniamo è influenzata molto dalle cose che ascoltiamo: io sono un appassionato di musica greca e dei Balcani, ad esempio, mentre ad altri di noi piace molto la musica sudamericana. Cerchiamo, anche per non annoiarci, di variare sempre, anche perché siamo spesso assieme, diventerebbe difficile sopportarci a vicenda [ride, N.d.R.]. Pensa che quando abbiamo iniziato a suonare, la prima cosa che abbiamo fatto è stata comprare un furgone, grazie al quale abbiamo girato molto. Siamo stati in Spagna, in Albania, in Grecia, e questo ci ha permesso di conoscere i musicisti del posto e quindi di assorbire le loro sonorità nelle nostre.
4. Pensi che Napoli e il resto del mondo abbiano qualcosa in comune sul piano musicale?
Hanno tantissimo in comune! Pensa che c’è un brano che avevamo a repertorio, si chiama Den se thélo pia, che pensavamo fosse una canzone greca. In effetti lo è, solo che quando l’abbiamo fatta ascoltare a un nostro zio acquisito, zio Ernesto, un ferroviere amante delle canzoni napoletane, lui ci ha detto che in realtà si trattava di una canzone napoletana che a Napoli non cantava più nessuno. Infatti, quando poi siamo andati a cercarne l’origine abbiamo scoperto che era stata depositata agli inizi del Novecento sia a Napoli che a Smirne, che inizialmente era una città greca. Come per questo, anche molti altri brani hanno una storia simile: prima, senza internet, era più facile far circolare musica e nessuno se ne appropriava.
5. Vi ispirate a qualcuno in particolare?
Nello specifico nessuno, però ovviamente siamo condizionati dall’aver ascoltato fin da quando eravamo piccoli i grandi nomi della musica napoletana, mi riferisco ad esempio alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, oppure a Eugenio Bennato, Enzo Avitabile, Daniele Sepe…fortunatamente sotto questo punto di vista Napoli è un mondo enorme, per cui è inevitabile lasciarsi influenzare e assorbire le sonorità dei suoi musicisti.
6. Credi che la musica abbia un valore politico?
La musica in sé no, penso ad esempio a tutti quei brani che non hanno un testo, che difficilmente possono avere un carattere politico ben chiaro. Però chi suona può dare un segnale politico forte andando a suonare in un luogo specifico, ad esempio, oppure sicuramente si può mandare un messaggio scegliendo come suonare o con chi suonare, ma non credo lo si possa fare con la musica in sé. Poi ci sono persone che utilizzano la musica per difendere i tradizionalismi e un certo orgoglio nazionalistico, ma sicuramente non è questo il nostro caso.
Giulia Imbimbo