Roberto Giachetti e Valeria Valente sono da qualche giorno i candidati ufficiali del Partito Democratico per le prossime elezioni comunali di Roma e Napoli.

I due hanno vinto rispettivamente contro Roberto Morassut e Antonio Bassolino, ma se nel caso delle primarie romane non c’è stata partita, lo stesso non può dirsi di quelle napoletane, dove la Valente ha battuto per meno di 500 voti il suo diretto avversario, peraltro tra le ormai consuete ombre di clientelismo. Il nuovo ricorso di Bassolino aspetta però ancora un giudizio definitivo, e dunque fino a prova contraria sarà la Valente a giocarsela con centrodestra e cinque stelle.

Proprio dai pentastellati sono fioccate pesanti accuse riguardo alle modalità d’elezione della campana, unite alla denuncia di un comportamento per nulla corretto che caratterizzerebbe entrambi i candidati: né la Valente, né Giachetti hanno deciso di rinunciare alla propria carica parlamentare in vista dell’elezione in Consiglio Comunale.
Interrogato anche da Fuori Onda (La7) sulla questione del doppio incarico, Giachetti ha mostrato una calma e una sicurezza notevoli nel dichiarare che si dimetterà dalla sua carica parlamentare solo nel caso in cui verrà eletto sindaco di Roma.
Cadendo dalle nuvole ha poi motivato: «Non vedo una sola ragione per cui dovrei dimettermi da parlamentare. Ho un incarico che hanno anche altri vicepresidenti, i quali fanno politica e campagne elettorali, anche facendo altre cose. Io continuerò a fare il vicepresidente della Camera e organizzerò la mia campagna elettorale, compatibilmente coi miei impegni».
Ecco, gli impegni. Giachetti assicura che quando non sarà impegnato in una difficile e dispendiosa campagna elettorale come quella che si appresta a pianificare si dedicherà come prima al suo ruolo parlamentare. Un po’ poco per chi ha un mandato popolare.
Ma tralasciando il “lo fanno tutti” che penetra il pensiero giachettiano e le sue promesse di lavoro part-time, permangono i dubbi su quanto sia etico tenere il piede in due staffe, in attesa di capire quale delle due attività prospettate sarà più remunerativa (non solo a livello economico).

Giachetti sbaglia quando dice che si dimetterà solo nel caso in cui sarà eletto sindaco, perché di fatto il suo lavoro nel prossimo Consiglio Comunale è già iniziato nel momento della sua presentazione. Risulta difficile credere infatti che il Pd non ottenga consiglieri comunali. Ma Giachetti sbaglia soprattutto quando dà per scontata l’assenza di una dimensione morale nel suo lavoro: “che problema c’è se, mentre aspetto di entrare nel Consiglio Comunale, continuo a percepire uno stipendio pubblico abnorme per un lavoro che mi vedrà sempre più assente?” è una domanda che sarebbe giusto porsi.
Cosa succederà poi se Giachetti, come è probabile, non dovesse vincere le prossime elezioni? Lascerà lo stesso la carica elettorale? O si prodigherà in un doppio incarico?

Sembra dunque sufficiente la tutela di una legge, il fatto che un tale comportamento sia formalmente legale, ad annullare ogni percezione della propria amoralità. Giachetti e la Valente plasmano le loro azioni sul più conveniente tra i modelli forniti dai propri colleghi di partito, paragonano il proprio operato unicamente a quello di chi si è comportato, negli anni, esattamente come si stanno apprestando a fare loro.
Basterebbe invece guardare alle ultime elezioni romane per ravvisare immediatamente un modello diametralmente opposto, con Ignazio Marino che divenuto il candidato ufficiale del Partito democratico l’8 aprile 2013 scriveva a Pietro Grasso, in una lettera di dimissioni: «Dal momento che da oggi e per le prossime quattro settimane sarò impegnato completamente per la campagna elettorale per la corsa a sindaco di Roma capitale e non potendo più assicurare l’assiduità d’impegno che ho sempre voluto garantire, ritengo giusto e corretto rassegnare le dimissioni dalla mia carica parlamentare». Vinse anche per questo.

Valerio Santori
(twitter:@santo_santori)

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