“É uno che cerca la figura paterna. Ci sono certi momenti però in cui se questa gli fa effettivamente da padre lui la rifiuta. Quindi ha sì bisogno di una figura paterna, ma che gli faccia fare quello che vuole. Che poi non sarebbe mica una figura paterna”. Rideva, Fabio Capello, quando nel 2008 a Sfide raccontava lo spirito contorto di Antonio Cassano e degli anni che alla Roma avrebbero dovuto assicurarlo al futuro del calcio italiano. Un talento puro e per questo motivo anche raro, venuto dalla migliore – e tra le più controverse – delle cantere che questo sport possa mai aspettarsi.

Oggi per i vicoli di Bari Vecchia passeggiano turisti, si muovono orde di pellegrini devoti a San Nicola e nell’aria si respira odore di cibo, gli occhi cadono nelle case degli anziani; eppure fino a non molto tempo fa tra quelle strade correva un ragazzotto un po’ smargiasso, che aveva nel sangue la voglia del leader. Quella, ad Antonio Cassano, non è mai mancata e, anzi, lo ha travolto anche troppo presto mettendolo al centro dell’attenzione, come sempre. Del resto oggi, che ha lasciato per l’ennesima volta il calcio (in malo modo e nel suo stile incontraddistinto) ancora riesce a far parlare di sé, a creare scalpore.

La strada ha regalato a Cassano il calcio, e il calcio da lì lo ha tolto per metterlo su un rettangolo verde e lasciare che si mettesse alla prova, che finalmente diventasse un professionista. All’esordio con la maglia del Bari – a San Siro contro l’Inter – fece un goal che anche a distanza di anni ci racconta dell’inizio di una storia unica nel suo genere, ma non per questo sempre luminosa. Un’azione da cineteca che valse i tre punti per il Bari, e per Antonio una conferma prima in campo e poi nella testa.

Iniziò infatti la fama, e con questa un’irrefrenabile vivacità. A soli 18 anni, il talento barese era conteso tra Roma e Juventus, con la Nazionale che iniziava a farci un pensierino. Non solo si ripete di essere il migliore di tutti: Cassano lo dice pubblicamente. Non solo pensa di essere diventato ricco: Cassano a 18 anni ha già più di tre macchine e a un senzatetto al semaforo regalerà 500 euro, perché non aveva nulla di più in tasca. Alla Roma impiega un anno per diventare insostituibile, e negli altri due dà spettacolo in tandem con Totti; esordisce nell’Under 21, poi in Nazionale maggiore (segnando in quasi tutte le partite ad Euro 2004), e iniziano le proverbiali “cassanate”.

Difficile gestirlo, dato che da solo non ci riesce. Soffrirà la convivenza con molti allenatori (e in generale con ogni società che lo avesse prelevato) tanto che a detta sua solo con Capello sarebbe riuscito a trovare una certa serenità. Lo stesso Capello con cui addirittura arrivò alle mani, ma questa volta a Madrid, dove Cassano arrivò dopo un periodo opaco e teso con la Roma. Accolto da star dai galacticos, è inutile dire che la sua fama si trasformò ben presto in altro. Messo fuori rosa e ai margini anche di questa società, Cassano vivrà i migliori anni della carriera di un calciatore alle prese con i suoi limiti fisici e mentali (certamente non tecnici). Mangia e non si allena, è fuori peso forma.

Solo la Sampdoria nel 2007 si convincerà a dargli una possibilità, e così poi il Milan, l’Inter, il Parma, di nuovo la Samp e il Verona, fino ad Antonio Gozzi, che fino a pochi giorni fa aveva accarezzato l’idea di regalare un piccolo sogno ai tifosi della sua Entella. Qui si interrompe la carriera di un calciatore controverso, sregolato e poco conforme a quelle regole non scritte che vigono non solo nel calcio, ma nel mondo del lavoro in generale.

Quello che è stato di Antonio Cassano riecheggia forte in molti stadi e negli occhi di tante persone. Più volte il calcio gli ha dato un’opportunità, e in ognuna di queste lui non ha ascoltato altro che se stesso, presentandosi come un predestinato e poi mandando tutto all’aria. Di Cassano sono rimaste giocate indimenticabili, ognuna contraddistinta dalla serenità di un ragazzino, ognuna deliziata da un pizzico della sua innata dote. Fossero bastati due piedi oggi forse staremmo parlando di un giocatore diverso e completo, ma al giorno d’oggi il talento non sempre basta. Ringrazi sì madre natura, dopodiché qualcosa di tuo devi mettercelo.

Questo, Cassano, con gli anni sembra ancora non volerlo capire o quantomeno accettare. Ai presidenti delle ultime squadre che lo hanno provato a rilanciare va riconosciuto, tuttavia, il merito di aver provato a giocare col fuoco, senza nessun rischio e, anzi, la possibilità di mettersi anche per soli cinque giorni sotto i riflettori. A Cassano d’altronde le attenzioni sono sempre piaciute, e da tempo l’opinione pubblica (e chi la fomenta) denota un certo sadico interesse verso lo scandalo, verso personaggi anticonformisti e a modo loro geniali nel loro piccolo. 

Ogni passo falso e ogni “cassanata” hanno fatto parte di un uomo che, nonostante i 36 anni e i due figli non ha ancora perso il vizio. Genuino, schietto e col vizio dell’irriverenza, un finto (e buono dentro) bulletto di quartiere, che una città e una terra intera hanno eletto a loro simbolo, prima che come tanti altri si sia trasformato solo in un amaro rimpianto. Quello che davvero metteva la palla dove voleva, una spanna sopra gli altri anche quando in campo ci scendeva non volentieri.

Questa storia ha ora forse trovato un epilogo, perché d’ora in avanti Fantantonio e il calcio percorreranno strade diverse, a chiusura di un rapporto pieno di ferite che da tempo qualcuno stava provando a ricucire. La palla gli resterà ancora incollata ai piedi, anche tra vent’anni, insieme alle sue convinzioni e ai ricordi di gloria.

Difficilmente però potrà ricredersi, e difficilmente potrà ripercorrere il passato pentendosi di essere stato quello che tutti hanno visto, che tutti hanno criticato: se stesso, in ogni circostanza. Antonio non ha mai dimenticato le sue origini, e anzi ha sempre tentato di portarsele dietro dovunque andasse. E tutti lo sapevano, sapevano che Antonio non ne volesse proprio sentire di diventare un esempio per qualcuno. Che conoscesse i suoi limiti, pur sapendo di essere – come ancora oggi ritorna a dire scherzando – “meno forte soltanto di Messi”.

A Bari Vecchia, intanto, i palloni finiscono ancora sulle mura e la passione che muove i ragazzini dietro a un pallone sembra non essersi mai spenta. Questa gente si sarebbe meritata altra reputazione, che solo attraverso un idolo poteva cambiare agli occhi del mondo. E trasformare finalmente Antonio… in Cassano.

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: panorama

 

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