Ogni 60 secondi, in rete, viaggiano miliardi di dati, prodotti incessantemente dalla popolazione del web: 3.607.080 le ricerche su Google, 46.740 le foto caricate su Instagram, 69.444 le ore di video guardate su Netflix, oltre 15 milioni i messaggi inviati. In un solo minuto, la quantità di dati generati (Big Data) è esorbitante: dai computer ai telefoni, dai navigatori alle carte di credito.
Ecco perché per Domo, la società americana di Big Data Analytics e Business Intelligence, «I dati non dormono mai» (Data Never Sleeps).
Secondo il New York Times i Big Data rappresentano una delle più importanti rivoluzioni dell’umanità. Non tanto per la loro esistenza, quanto più per la capacità di raccoglierli, analizzarli ed elaborarli per produrre nuova conoscenza. L’abnorme massa di dati prodotta dagli utenti a livello globale costituisce la mappa politica, economica e antropologica della società.
Amazon, Facebook, Google, Apple, Netflix utilizzano i Big Data come efficace strategia di marketing per indirizzare informazioni, offerte d’acquisto e raccomandazioni, in base alle necessità e ai gusti momentanei degli utenti.
Le società di credito li usano per valutare il rischio finanziario di una persona, la sua tendenza alla spesa o al risparmio. Gli enti pubblici per distribuire le forze di polizia, studiare la qualità dell’aria e dell’inquinamento, contrastare siccità e carestie, monitorare la salute collettiva. Così accadde nel 2014, quando, durante l’epidemia di ebola, l’analisi dei dati consentì di prevedere l’avanzamento della malattia nelle regioni colpite e verificare l’efficacia della prevenzione.
La raccolta e l’elaborazione di tutti questi dati porta vantaggi straordinari, permettendo di costruire, nel giro di poche ore, conoscenze e modelli prima inimmaginabili. Ma se a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità, anche l’impiego dei Big Data nasconde lati oscuri, legati alla tutela della privacy, della libertà di scelta, delle pari opportunità.
Tra gli ambiti più discussi c’è quello del marketing politico, ovvero dell’utilizzo delle tecniche di sales per analizzare, scomporre e orientare gli elettori verso il consenso a candidati e partiti politici.
Si colloca qui la misteriosa relazione tra Donald Trump e Cambridge Analytica, la più importante società di Data Science per le campagne elettorali. Grazie all’applicazione di metodi di profilazione e di complessi modelli predittivi, Cambridge Analytica è riuscita a identificare i probabili elettori di Trump e indirizzare al target selezionato messaggi elettorali specifici, ottenendo non solo una razionalizzazione delle risorse – Trump ha speso meno della metà dei 521 milioni di dollari investiti della Clinton – ma anche risultati propagandistici molto più incisivi.
Cambridge Analytica ha iniziato a lavorare alla campagna di Trump nel giugno 2016, riuscendo in pochi mesi a profilare 220 milioni di americani.
Come è stato possibile? Combinando la massa dei dati – ricavati dai social network e acquistati da società terze – con le analisi delle “Big Five“, le cinque caratteristiche psicologiche che disegnano la personalità dell’individuo: estroversione, apertura mentale, coscienziosità, approccio collaborativo e stabilità emotiva. Costruiti questi profili, ha avuto inizio la seconda fase: studiare messaggi personalizzati per gli utenti di riferimento. Efficaci dal punto di vista comunicativo, costruiti “su misura” del singolo cittadino e spesso basati su fake news. Sono i cosiddetti dark post, diffusi attraverso sms, e-mail e piattaforme social.
Sfruttando la profilazione, Trump – e come lui qualunque altro soggetto politico – è stato in grado di raccogliere informazioni e tendenze per orientare la campagna elettorale verso un rapporto più “diretto” e “personale” con i singoli elettori, indirizzando la loro conoscenza sul mondo e, quindi, il loro consenso elettorale.
Qualcuno parla di Customer Relationship Management, la strategia usata nel business per aumentare il fatturato aziendale e, insieme, la soddisfazione del cliente. Nella sua traslazione politica, infatti, siamo davanti – almeno apparentemente – ad un rapporto win-win: da un lato, il cittadino riceve nuove prove che consolidano le sue precedenti credenze sul mondo (Confermation Bias), dall’altro il candidato orienta il consenso in modo qualitativo e non quantitativo, aumentando le probabilità di assicurarsi gli elettori “giusti” al momento “giusto”.
Sul terreno politico-elettorale, quindi, i Big Data si trasformano in potente arma di consenso, favorendo la propaganda, polarizzando le opinioni e orientando i voti. Il compito di Cambridge Analytica è essenzialmente uno ed è scritto chiaramente sul sito: «We find your voters and move them to action». Cercare, trovare, connettere. Ma fino a che punto arriva la consapevolezza degli elettori “scelti”?
Il pericolo è che si tratti di una connessione fittizia e totalmente autoreferenziale, che tende ad escludere i punti di vista a essa contrastanti e, a volte, a isolarsi dalla realtà stessa.
Il cittadino-utente rischia così di restare imprigionato nell’interazione unidirezionale con un’informazione precostituita e filtrata, adattata ai suoi bisogni immediati e artificialmente stimolati per scopi propagandistici.
Cambridge Analytica non è l’unica ad avere in mano le chiavi del Data Politics Insight. In Europa c’è DigitalBox, già attiva durante le presidenziali 2017 e presente in Belgio, Inghilterra, Africa e Canada. In Italia c’è un misterioso precedente nel 2012, anno in cui Cambridge Analityca avrebbe lavorato per «un partito politico italiano che vanta i suoi ultimi successi negli anni ‘80». Secondo Fabio Martini, cronista politico de La Stampa, la società americana sta già lavorando per uno dei partiti che si contendono le elezioni 2018.
La sfida sarà quella di regolare questi sistemi per ristabilirne l’eticità e la trasparenza, ma soprattutto di trovare la giusta conciliazione tra i vantaggi collettivi derivanti dai Big Data nella salute pubblica, nella ricerca scientifica, nella sicurezza nazionale, e i diritti individuali legati alla privacy, all’uguaglianza e alla libertà di scelta.
Rosa Uliassi