Il primo discorso alla Camera di Paolo Gentiloni, seguito dal voto di fiducia, si è tenuto in un ambiente vagamente distratto. Il Corriere della Sera ha parlato di “20 minuti di sussurri”, e del resto il volume del diffuso vociare è stato percepito nettamente nella stanza disertata: M5S, Lega, Scelta Civica e Ala hanno inscenato il proprio personale Aventino.

«È del tutto chiaro che domani non andremo in aula a votare una fiducia a un governo fantoccio», aveva sentenziato Luigi Di Maio nella giornata precedente, così è stato.
La linea del M5S in questo confuso post-referendum è chiara almeno nelle dichiarazioni di facciata dei suoi membri: tutti concordi nel richiedere votazioni il più vicine possibile, con l’Italicum modificato dalla sentenza della Consulta. Lo hanno ribadito anche i capigruppo Luigi Gaetti e Giulia Grillo dopo le consultazioni al Quirinale con Mattarella: «Abbiamo chiesto di andare al più presto al voto con la legge elettorale che risulterà dalla sentenza della Consulta nelle prossime settimane».

Il Corriere della Sera inoltre ha preannunciato una manifestazione dei pentastellati fuori il palazzo della Corte costituzionale, per portare l’attenzione sulla sua decisione riguardo l’Italicum, ed ha paventato perfino la possibilità di dimissioni di massa. Questa sembra però un’ipotesi ad oggi improbabile, più facile che si proceda con una serie importante di manifestazioni in piazza, come peraltro già annunciato da Beppe Grillo: «Tutti i nostri parlamentari staranno fuori da questo Parlamento finto e il Parlamento lo faranno nelle strade e nelle piazze».

Eppure voci interne al M5S lascerebbero intendere, se confermate, che non tutti i pentastellati la pensino alla stessa maniera, e che ai malumori già noti della sempre più scavalcata base attivista si siano aggiunte in questo focoso post-referendum anche le contrarietà di alcuni suoi membri di spicco, un nome su tutti: Roberta Lombardi.

Dal “dettagliato resoconto” dell’assemblea congiunta di mercoledì scorso, che La Stampa ha ricevuto da una fonte anonima e subito pubblicato, emerge una tensione palpabile tra i parlamentari M5S meno in vista, e la causa scatenante della quale appare senza ombra di dubbio la scelta di accettare l’Italicum dopo averlo aspramente criticato fin dal momento della sua discussione.
Sebbene la virata possa essere considerata una manovra di “opportunità politica”, e sebbene questa sia stata probabilmente pianificata strategicamente in vista del referendum (se vince il Sì contro l’Italicum, se vince il No pro), dal resoconto dell’assemblea si evince chiaramente che questa strategia non era stata affatto condivisa con la base, e che quest’ultima sia venuta a conoscenza della svolta nel momento stesso in cui lo hanno fatto i milioni di telespettatori collegati con la conferenza post-referendum tenuta da Crimi, Grillo, Di Maio e Toninelli. Il deputato Mantero in particolare ha sostenuto con forza che la decisione sarebbe dovuta passare dall’assemblea.

Quanto a Roberta Lombardi, dobbiamo sottolineare che se si potesse parlare, forse precocemente, di una minoranza interna al M5S, lei verrebbe sicuramente ritratta come la mente di questa.
Ben nota è la sua ostilità verso la sindaca di Roma Virginia Raggi, alla quale ha contestato il contestabile al momento della formazione della Giunta. Un procedimento che non l’ha vista protagonista, e che dunque non ha rispecchiato il potere che Roberta si è conquistata in tanti anni di militanza nel M5S romano.

Ora che il Movimento sta incassando i frutti anche del suo lavoro, insomma, la Lombardi si sente più che mai ignorata, e per comprenderne la personale involuzione politica basta ricordare non molto tempo fa, nel 2013, fece addirittura parte della delegazione che si recò alle prime storiche consultazioni del Movimento con Napolitano.

Negli ultimi giorni Roberto Fico è stato accusato di aver voluto sfidare Di Maio per la leadership del Movimento in vista delle elezioni, anche se in verità la sua dichiarazione rilasciata al quotidiano Avvenire tutto appare tranne che una candidatura convinta: «Fermo restando che il premier è un semplice portavoce di un programma, sono sempre disponibile a fare tutto ciò che può essere utile al Movimento».

Nel momento in cui però la dichiarazione è stata sottoposta alla valutazione della Lombardi, questa ha prontamente specificato a La Stampa che in effetti a suo avviso «Fico e Di Maio hanno idee opposte del Movimento», cavalcando la presunta frattura.
Di Maio e Raggi rappresentano perfettamente la parte del Movimento che sta togliendo visibilità e potere a personaggi come la Lombardi: la parte moderata e “governativa”, lontana dai vaffa movimentisti.

Grillo si è detto “stanco” forse proprio di questa continua faida parzialmente nascosta (oltre che per le fatiche del referendum), e captando una conflittualità latente, il giorno stesso ha prodotto un post chiarificatore: “Un corpo solo, un’anima sola”.

Quella di Di Maio, ovviamente.

Valerio Santori
(Twitter: @santo_santori)

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