«Non riuscivo a rassegnarmi all’asserita dicotomia che da un lato associa in maniera categorica il pentimento alla decisione di non avere avuto figli minacciando le donne con lo spettro del rimpianto, dall’altro ritiene assolutamente impossibile che una donna si penta di averli avuti, i figli, che una madre possa rimpiangere il tempo in cui era non-madre.»

Sono alcune delle parole che si leggono nell’introduzione dell’autrice Orna Donath al suo testo “Pentirsi di essere madri”, il cui catenaccio sottostante chiarisce come Storie di donne che tornerebbero indietro. Sociologia di un tabù. Si tratta di uno studio sociologico, di una ricerca iniziata nel 2008 (e protratta fino al 2013); si tratta della possibilità di dar voce al non detto, di sfatare falsi miti e antiche tradizioni a cominciare dal paese israeliano, dove per ogni donna si contano almeno tre figli (è stato calcolato un tasso di fertilità totale superiore alla media dei paesi dell’OCSE) per poi riscontrarli anche in realtà occidentali come quelle degli Stati Uniti e dell’Europa.

La tesi della studiosa muove dalla consapevolezza che non esista un bilancio per la maternità, che non siano mai stati supportati effettivamente circoli di discussione, che sia stato concesso all’argomento poco spazio persino nel web e che, in quei rari casi,  la risposta non fosse mai positiva (perlopiù scetticismo e indignazione) e la comprensione pressappoco nulla. Si parla di madri che convivono con il sentimento di pentimento nei confronti della propria maternità, un sentimento che temono di ammettere; di madri che si scontrano con il veto di altre donne, che ignorano l’abbraccio comprensivo della compassione (nell’antico significato del patire insieme) ma non le pubbliche sentenze. Si credono sbagliate davanti un’idea elevata a legge dalla storia ma che, di fatto, costituisce un limite e un tabù indicibile: una donna che non è madre, non è donna a tutti gli effetti. Figurarsi una madre che rinnega il mitologico ruolo di vestale.

Invece il rimpianto esiste e non dovrebbe essere aggravato dalla difficoltà di ammissione.

La ricerca vaglia l’esperienza di ventitré donne, di età compresa tra i 26 e i 78 anni, di cui cinque erano già nonne e solo una dichiarata lesbica, pur avendo avuto delle relazioni eterosessuali dalle quali sono nati i suoi figli.

La presentazione del libro è avvenuta sabato 14 ottobre 2017 presso la Libreria delle donne a Bologna, aperta nel maggio del 1996 e curata dall’associazione culturale femminile no-profit Alta Marea. A condurre il dibattito, Paola Cavallari (teologa femminista e docente di filosofia e storia nei licei) e Patrizia Zani (autrice e redattrice di saggi divulgativi e testi scolastici di storia, storia dell’arte e letteratura); a presenziare, uomini e donne di ogni età e status sociale.

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Da sinistra, Patrizia Zani e Paola Cavallari.

Il testo, definito dalla Cavallari perturbante, viene da lei racchiuso in dieci punti essenziali che onorano il punto di vista delle non-madri (di fatto non esiste un termine che ne individui l’essenza ma persiste solo la negazione del concetto), mai troppo considerato, e ingiustamente. Ritiene che il merito del libro sia doppio: ha il coraggio di affrontare un discorso tabù, innescando nuovi spunti di riflessione e, in secondo luogo, aumenta la possibilità di realizzare una fratellanza tra donne.

Il primo punto è quello di riconoscere l’amore materno non più come un determinismo biologico, come destinazione ultima della vita di una donna ma come costruzione sociale. Un concetto tanto ovvio quanto difficile da accettare, che comporta l’idea dell’istinto materno visto come un prodotto della società e non innato o naturale (ricordando anche l’opera della filosofa Elisabeth Badinter “L’amore in più”).

Il tema della libera scelta nei confronti della maternità contrasta e si intreccia con la nozione di destino: i condizionamenti esterni sono talmente insistenti e numerosi da non renderla del tutto integra ma piuttosto sarebbe giusto individuarne l’effetto boomerang.

«Il presupposto indiscusso, infatti, è che il potenziale riproduttivo dell’anatomia femminile le obbliga a diventare madri, che su di loro incombe un imperativo di tipo fatalistico che le conduce passivamente a non avere altra scelta.» Ma esiste anche il caso contrario in cui, presupposto che si è liberamente scelto di diventare madri, non si ha più il diritto di lamentarsene.

Altri punti focali sono la consapevolezza di una genitorialità squilibrata nella formazione dei figli, di una maternità come ambivalenza; si elencano, inoltre, il valore del dialogo nel processo di catarsi da questi corrosivi fantasmi della società odierna e il coraggio (delle donne intervistate) di confessare l’esistenza del rimpianto come categoria a sé stante, facendo particolare attenzione alla distinzione tra l’indiscusso amore per i figli generati e l’effettivo rifiuto per il ruolo materno. Così come fondamentale è la capacità per una donna di spostare il fuoco dal figlio alla relazione figlio/madre, non dimenticandosi della propria identità e delle proprie esigenze. Ciò che emerge dalle parole delle intervistate è che il pentimento non nasce dal solo sacrificio nei confronti di una vita ormai insperata né semplicemente da una carriera perduta, ma piuttosto dall’idea che l’errore sia a monte e a prescindere: è ingiusto sapere che per la donna esiste un univoco aut-aut tra l’essere madre e il non esserlo.

Innegabile per la Cavallari, in conclusione al suo discorso, è l’ingerenza delle religioni che, una volta istituzionalizzate, hanno suggellato l’apoteosi della millenaria supremazia maschile (parafrasando e  condividendo, seppur da teologa, le parole di Carla Lonzi in “Sputiamo su Hegel”).

Patrizia Zani, d’altra parte, in base ad esperienze personali maturate negli anni, ha preferito fornire degli spunti interrogativi più diretti: ci sono donne decisamente ostinate ad avere figli, disposte a diverse e dolorose operazioni spinte dalle più svariate motivazioni; per tante di loro, ne esistono altrettante che, per propria forma mentis, vivono la maternità con maggiore distacco (è il caso della Thailandia). Questa ambivalenza permette di non perdere la convinzione che davanti ai tanti motivi possibili per pentirsi di essere madre bisognerebbe considerare anche tutti quelli che porterebbero a pentirsi di non esserlo.

Al giorno d’oggi, sono evidentemente cambiate le realtà persino degli occidentali: la maternità viene ritardata o fortemente concentrata su un unico figlio e la Zani, rifacendosi sempre alla Badinter, conferma che « l‘amore materno è solo un sentimento umano. E come tutti i sentimenti è incerto, fragile e imperfetto. Contrariamente a quanto si crede, forse non è inciso profondamente nella natura femminile.»

I motivi della conclamata denatalità in Italia sono numerosi e riconducibili, in parte, all’instabilità delle relazioni, all’odierna società liquida nei sentimenti e negli averi, ad una progressiva ridefinizione dell’identità femminile, ai dettami religiosi e politici. Di fatto, le nascite sono regredite e le famiglie ristrette. Che si lotti per la vita o per il diritto a vivere la propria secondo personale volere, è bene che si lotti. Contro le etichette sbagliate, contro i muri, contro i discorsi scomodi, contro i tabù.

«[…] A chi si pone il dilemma di dare la vita o negarla questo libro è dedicato da una donna per tutte le donne.» Questa la dedica di Oriana Fallaci alla sua “Lettera ad un bambino mai nato” ed è così che si dovrebbe salutare il testo della Donath.

Alle madri che sono prima di tutto donne e prima ancora esseri umani. Liberi. Di scegliere, di vivere quanto di sbagliare, indipendentemente.

Pamela Valerio

1 commento

  1. oggi avere un figlio è una scelta. Non tutti ma la maggioranza dei genitori non si pente dei propri figli e li ama, certo molti genitori hanno ambivalenze nei confronti dei propri figli, rimpianti per la vita di prima ma ama i propri figli, anche chi si “pente” li ama. L’amore materno e l’amore paterno non sono costruzioni culturali, sono sentimenti genuini che pur tra mille contraddizioni la maggioranza (non tutti) delle madri e dei padri prova

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