La mattina del 15 novembre, Steve Bannon è stato arrestato. L’ex stratega di Donald Trump si è consegnato di sua spontanea volontà all’FBI di Washington ma non attenderà il processo a suo carico in carcere, poiché l’accusa non ha chiesto per lui la reclusione preventiva. Questo arresto è solo l’ultimo capitolo dello scontro in corso tra l’attuale Presidente americano Biden e Donald Trump, che ha avuto inizio con l’assalto a Capitol Hill verificatosi subito dopo le elezioni del 2020. Da questo processo emerge il tentativo di Trump di far passare se stesso come vera e propria vittima agli occhi dell’opinione pubblica, mentre Biden sta provando a dimostrare che Trump e i suoi sostenitori siano una sostanziale minaccia alla democrazia. Si prospetta così per la Casa Bianca l’ennesimo incendio politico da dovere spegnere il prima possibile.
Le motivazioni che hanno portato Steve Bannon a processo
Bannon è stato il principale stratega della vittoria elettorale di Donald Trump alle presidenziali del 2016. Grazie all’attivismo svolto attraverso il quotidiano on-line di estrema destra Breibart – che allora dirigeva -, Bannon è stata una delle personalità chiave che ha permesso a Trump di diventare Presidente degli Stati Uniti d’America. Tuttavia una volta nominato “capo stratega” il suo incarico alla Casa Bianca ha avuto vita breve: è stato licenziato già nell’agosto del 2017. Nonostante il suo allontanamento, secondo la Commissione di inchiesta, Bannon è in possesso di importanti informazioni che farebbero luce sugli eventi di Capitol Hill. Di fatto, all’indomani delle contestazioni sull’esito del voto delle presidenziali statunitensi, il 5 gennaio aveva dichiarato in anticipo che «domani scoppierà l’inferno».
Per questo motivo Steve Bannon è al momento in libertà vigilata. Dopo essersi rifiutato di collaborare con la Commissione della Camera dei Rappresentanti che indaga sull’assalto a Capitol Hill, il consigliere di lunga data di Donald Trump è stato incriminato la scorsa settimana per oltraggio al Congresso. I capi di imputazione che pendono su di lui sono due: il primo per non aver testimoniato e il secondo per non aver consegnato i documenti richiesti, motivando il suo diniego con il fatto che Trump abbia invocato il privilegio esecutivo sugli atti della sua presidenza. Se condannato, l’ex consigliere di Trump rischia un massimo di un anno di carcere per ciascuno dei due capi di imputazione e una multa fino a 100mila dollari.
Ma Steve Bannon promette di vendere cara la pelle. Donald Trump ha cercato di ostacolare il comitato della Camera e ha ordinato ai suoi associati di non collaborare. Steve Bannon così è stato il primo a sfidare il Congresso rifiutandosi di cooperare. L’atteggiamento di Bannon è servito quindi ad indicare agli altri accusati il comportamento da assumere in aula per compiacere il potente ex presidente. Pertanto, non è pensabile che il processo penale a suo carico possa motivare gli altri testimoni a testimoniare sui fatti di Capitol Hill. A questo, probabilmente, si riferivano le parole che Bannon ha riferito ai giornalisti: «Passeremo all’attacco. Siamo stanchi di giocare in difesa».
La guerra senza fine tra Joe Biden e Donald Trump
Stiamo assistendo ad uno scontro senza esclusione di colpi. Per molti versi Trump e Biden stanno continuando la loro battaglia politica in vista delle prossime elezioni. Attenendoci a quanto riportato da Cbs News, prima di entrare negli uffici dell’Fbi, Steve Bannon avrebbe detto ai suoi sostenitori: «Stiamo abbattendo il regime di Biden, voglio che rimaniate concentrati». Di fatto, i più stretti alleati di Donald Trump al Congresso hanno accolto l’atto d’accusa di Steve Bannon come il momento ideale per vendicarsi e passare al contrattacco, a cominciare dal tentativo di riconquistare la Camera.
Il processo e il clamore mediatico che ha suscitato può servire ai repubblicani come palcoscenico per alimentare le affermazioni secondo cui, ancora una volta, l’establishment politico stia cercando di perseguitare Trump. L’ex Presidente sta provando a far passare il processo a Steve Bannon come l’ennesima ingiustizia nei suoi confronti, in modo tale da continuare ad alimentare quella narrazione che lo mostra come vittima a cui è stata rubata l’ultima elezione presidenziale. Questa prospettiva aiuta anche a spiegare perché lui e i suoi alleati stanno cercando così duramente di nascondere la verità nel tentativo di far deragliare la democrazia.
Ma la reazione di Joe Biden non si è fatta attendere. Il 45esimo Presidente degli Stati Uniti sta cercando di stabilizzare la sua stessa presidenza, costellata da difficoltà, cercando di far approvare il suo massiccio pacchetto di riforme infrastrutturali tanto ai democratici quanto ai repubblicani. Il disegno di legge bipartisan fortemente voluto da Biden vuole infatti dimostrare che gli americani possono ottenere grandi risultati quando sono uniti. Questo ambizioso progetto ha perciò lo scopo di dimostrare che la democrazia funziona, e di smorzare il risentimento populista alimentato dai repubblicani trumpiani. Pertanto, Donald Trump, Steve Bannon e il resto dei suoi alleati sono avvisati: Biden non mollerà di un centimetro.
Negli Stati Uniti è in corso una lotta per l’egemonia
Negli Stati Uniti è in corso una lotta per impadronirsi del potere. Mosse e contromosse stanno caratterizzando la scena politica nordamericana: i repubblicani e i democratici si stanno comportando come due blocchi di potere che non governano la società statunitense in modo unitario e compatto, ma al contrario generano una costante e continua tensione tra loro per la conquista dell’egemonia. In questo modo le differenze politiche, che in una società come quella statunitense sembrano a volte effimere, stanno diventando sempre più marcate e insanabili.
Tuttavia, repubblicani e democratici non sono altro che le due facce di una stessa medaglia. Questi due gruppi dirigenti in lotta tra loro differiscono per la scelta dei mezzi di governo della società, ma non certamente per mettere in discussione le sue regole di funzionamento. Di fatto, repubblicani e democratici, per quanto possano differire tra di loro per valori fondanti e per le politiche che adottano, non intendono sovvertire il sistema di produzione capitalista e le sue storture a partire dalle fondamenta. Ecco perché lo scontro per l’egemonia continua, ma quando avrà fine non bisogna aspettarsi che dal suo verdetto uscirà un vincitore che intenda cambiare realmente la società statunitense.
Gabriele Caruso