Siamo nel 1894 a Roma: Eleonora Duse, acclamata attrice di teatro è all’apice del suo successo, ha 36 anni ed è soprannominata La Divina, possiede un fascino magnetico. Gabriele D’Annunzio ne ha appena 31, è pressapoco un metro e 64, è calvo, miope e piuttosto magrolino. Non è di certo un adone, eppure può vantare una lista di numerosissime conquiste femminili che si diverte a sbandierare e alcuni successi letterari. Il primo incontro c’era stato nel 1882 sempre a Roma, dove il poeta le aveva proposto, senza alcun pudore, un incontro carnale che lei avrebbe rifiutato con sdegno.
Quando D’Annunzio pubblicò “Il trionfo della morte”, una delle sue opere più famose, lei ne subisce il fascino e così decide di scrivergli una lettera in cui gli chiede di lavorare per lei, di scrivere cioè un’opera teatrale di cui sarebbe stata la protagonista.
In un primo momento l’attrice non vuole accettare di essere attratta dallo scrittore che appare (ed è) un narcisista e sempre e solo alla ricerca di piaceri sessuali:
«Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale… D’annunzio lo detesto, ma lo adoro.»
Lo chiama il “Poeta infernale”. Due anni dopo si incontrano a Venezia e il poeta sfodera le sue doti di grande affabulatore che fanno centro nel cuore della Duse: si ameranno per dieci lunghi e difficili anni. Eleonora soddisfa ogni capriccio dell’esteta, lo ama senza riserve, si prefissa di far conoscere al mondo il talento del suo amato interpretando ben quattro tragedie dannunziane, a finanziare gli spettacoli è sempre e solo lei. Lei recita, lavora e paga tutti i debiti di D’Annunzio che non si decide a distaccarsi dal lusso in cui vive… «Perdonami anche questo cioè di sentire solamente la mia gioia quando ti sono vicina, poichè gioia io a te non so darne. Io sono la tua poveretta. Il genio sei tu…» scrive lei.
«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato.»
Ma i tradimenti non tardano ad arrivare: cominciano le tournèe e alle domande della donna su dove stesse andando «Sempre alla ventura, non domandare», risponde lui; andava dalle sue amanti.
Oltre alle relazioni parallele con altre donne, D’Annunzio colpisce la Duse artisticamente sottraendole il ruolo di protagonista nell’opera teatrale che aveva scritto per lei, “La città morta”. Per la parte sceglie la più famosa Sarah Bernhardt: per Eleonora è l’umiliazione pubblica; «Un bel giorno mi sono sentita stroncare in due» scriverà all’amica Matilde Serao. Lei interrompe i rapporti, pur continuandolo ad amare in segreto poichè è troppo in collera con l’uomo per perdonarlo.
Nel 1900 esce il romanzo “Il Fuoco”, in cui lo scrittore mette a nudo tutta la relazione con la Duse che ne esce con la reputazione distrutta, non possiede più un’intimità mentre D’Annunzio è acclamato dal pubblico. Lei giustifica il suo silenzio affermando «Un’opera d’arte vale più della sofferenza di una creatura umana». Nel 1903 viene pubblicata la raccolta di poesie Alcyone in cui D’Annunzio chiama la Duse con lo pseudonimo di Ermione:
E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere… (La pioggia nel pineto)
Nel 1909 la donna si ritira dalla scena, ormai ha 51 anni.
Inaspettatamente D’Annunzio nel 1922 le scrive una lettera: «Ti bacio le mani. Nel mio occhio destro è la tua immagine, e nessun’altra. Lodo quella tua semplicità divina per cui sembra che ogni tuo atto incominci dall’infinito e si compia nell’infinito. Ti amo meglio di prima… Ti bacio le mani tanto che te le consumo». Aveva appena perso l’occhio destro dopo un incidente aereo ed è acclamato come eroe nazionale. Ma lei non si lascerà più travolgere: nel 1922 a Milano, dopo 18 anni dall’ultimo incontro, si vedono e si racconta che il poeta le si inginocchiò dinanzi gridando «Quanto mi avete amato!», lei aiutandolo a rialzarsi gli rispose «Ma non potete immaginare quanto vi abbia dimenticato»
Che illusione… Se lo avessi amato come crede, avrei dovuto morire quando ci siamo lasciati, e invece sono sopravvissuta. (da una lettera di Eleonora alla Serao)
Due anni dopo La Divina muore di tubercolosi, lontana dall’Italia e da D’Annunzio che le sopravvivrà quattordici anni. Alla notizia egli dirà «È morta quella che non meritai»
Maria Pisani