Tra il 23 e il 26 maggio di questo anno, le urne di ventisette Stati europei si prepareranno ad accogliere i propri cittadini (e i cittadini di altri paesi dell’Unione) al voto per le elezioni europee.
Se il tasso di astensionismo e i risultati di queste elezioni europee sono ancora un’incognita alla mercé dei sondaggi, una cosa risulta invece certa: se sei cittadino di Bulgaria, Cipro, Danimarca, Grecia o Italia, residente però in uno Stato al di fuori dei confini europei, le tue possibilità di voto saranno piuttosto limitate o perfino nulle.
Volendo in questo articolo fare il punto della situazione italiana in merito alla legislazione che regola le elezioni europee, andiamo ad analizzare brevemente i contenuti della legge firmata dall’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, nel 1979.
Quale legge elettorale è usata per le elezioni europee?
Ogni Paese membro dell’Unione Europea ha una propria legge elettorale per l’elezione degli europarlamentari: tale legge, tuttavia, deve ovviamente rispondere ad alcune normative dettate dalle Istituzioni europee, per rendere il sistema elettorale il più simile possibile all’interno dei ventisette Stati membri.
Nel caso italiano, la legge che regola le elezioni del parlamento europeo è la n.18 del 24 gennaio 1979, rimasta per lo più invariata, ad eccezion fatta di alcune modifiche e di alcuni aggiornamenti promossi nel corso degli anni.
Essa permette, da quest’anno, vista l’uscita del Regno Unito dall’Unione, l’elezione di 76 eurodeputati italiani (che fino alla scorse elezioni europee erano invece 73), eletti tramite sistema proporzionale (dei quozienti interi e dei maggior resti), soglia di sbarramento al 4% e preferenza di voto.
Sorvolando su particolari quali circoscrizioni, collegi, eleggibilità e liste, soffermiamoci ora su coloro che hanno diritto di voto.
Chi ha diritto di voto?
La legge elettorale prevede che tutti i cittadini italiani maggiori di 18 anni possano esercitare il diritto di voto nelle proprie circoscrizioni di appartenenza, alle quali devono ovviamente risultare iscritti. Il titolo VI della legge regola, inoltre, l’elettorato italiano residente nel territorio dei Paesi membri della comunità europea: chiunque sia residente o si trovi, per motivi di studio o di lavoro, in un qualsiasi altro Paese dell’Unione avrà la possibilità di registrarsi e di votare nelle sessioni elettorali presenti sul territorio dello Stato membro dove vive.
E i cittadini italiani residenti fuori dall’UE?
Se all’interno degli articoli del titolo VI i residenti in Paesi al di fuori dei confini dell’Unione non sono neanche citati, tra le disposizioni finali della legge è presente invece l’art. 50, che prende in considerazione questo caso specifico, in termini però tutt’altro che dettagliati. Esso, infatti, dispone soltanto che i cittadini risiedenti in Paesi terzi rispetto all’Unione riceveranno una cartolina di avviso un mese prima delle elezioni. Tale cartolina darà la possibilità di ritirare il certificato elettorale presso il proprio comune italiano di riferimento e il diritto al titolare di usufruire di agevolazioni per il viaggio nel Bel Paese.
In breve, i residenti in Paesi esterni all’Unione Europea hanno la possibilità di esercitare il proprio diritto di voto soltanto in Italia, nel proprio comune di appartenenza.
Le conseguenze di questa legislazione sulle elezioni europee
Sicuramente questo tipo di scelta è giustificata dai costi dell’organizzazione di votazioni in Paesi esterni ai confini dell’Unione (organizzazione che, tuttavia, potrebbe prendere varie forme, con la possibilità di tenere sotto controllo le spese: dal voto elettronico al voto postale). Va però sottolineato che le implicazioni di questa scelta sono svariate: la negazione della possibilità di votare direttamente dal Paese in cui si risiede o si vive disincentiva la partecipazione alle elezioni europee da parte di tutta quella fetta di popolazione italiana che ha deciso, spesso per motivazioni economiche e lavorative, di lasciare il proprio Paese per più o meno brevi periodi di tempo.
Se la cartolina di avviso abilita il cittadino a trovare agevolazioni per quanto riguarda il rientro in Italia, le spese risultano comunque alte in termini di tempo, organizzazione e anche denaro, visto che, aspettando l’arrivo della stessa, il destinatario avrebbe l’opportunità di prenotare i biglietti aeri soltanto un mese prima del giorno delle elezioni stesse.
Andando oltre i giudizi di valore sul diritto di voto dei cittadini residenti all’estero (o, come in questo caso, fuori dai confini dell’UE), ciò che è certo è che la legislazione italiana (come quella greca, bulgara, cipriota e danese) crea una disuguaglianza di base tra i vari cittadini dell’Unione. Se i cittadini di Francia, Polonia, Romania e di tutti gli altri diciotto Stati della comunità hanno la possibilità di votare alle europee da Paesi fuori dai confini europei, agli italiani residenti in paesi terzi rispetto all’UE questa possibilità è negata.
Su chi ricade la responsabilità per questo tipo di scelta?
Le responsabilità di tale negazione ricadono in egual misura sia sull’UE che sullo Stato italiano. Il 13 luglio del 2018, il Consiglio dell’Unione ha tuttavia emanato la decisione 2018/994 che modifica la legge n.18 del 1979 sulle elezione dei membri del Parlamento europeo. Tale decisione, oltre a introdurre misure contro il doppio voto, a imporre soglie minime di sbarramento e a istituire la possibilità di votare tramite posta o voto elettronico, parla finalmente anche dei cittadini residenti al di fuori dei confini europei:
“Conformemente alle rispettive procedure elettorali nazionali, gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per permettere ai propri cittadini residenti in paesi terzi di votare alle elezioni del Parlamento europeo.”
Tale articolo è stato letto come un invito da parte delle Istituzioni europee agli Stati membri a modificare la legislazione interna: tale proposta rimane però soltanto un’esortazione e non ha nessun valore vincolante o coercitivo. Spetta agli Stati membri adeguare il proprio ordinamento giuridico in merito alla proposta del Consiglio, cosa che lo Stato italiano non ha ancora preso in considerazione di fare.
Ecco perché cambiare la legislazione attuale in materia
I dati sull’affluenza alle urne per le elezioni del parlamento europeo mostrano un calo più o meno costante dal 1979 alle ultime votazioni (quando soltanto il 42,61% dei cittadini è andato a votare). Sicuramente l’affluenza non è l’unico indice per valutare il grado di fiducia che i cittadini europei riservano nei confronti delle Istituzioni europee, ma può comunque essere un buon punto di partenza per valutare, in termini generali, il senso di comunità trasmesso dall’Unione.
Includere nella legislazione italiana, in quella greca, bulgara, cipriota e danese un articolo che difenda il diritto di voto di tutti quei cittadini residenti o abitanti, per periodi più o meno lunghi di tempo, all’estero, risulta necessario anche in un’ottica di valorizzazione delle elezioni europee, per dare un’immagine di Europa che non discrimina, ma che al contrario tutela e protegge ogni singolo cittadino, soprattutto in un’era in cui l’emigrazione e lo spostamento, per motivi di studio o di lavoro, riguarda una parte consistente della popolazione più giovane.
Là dove gli Stati membri non sono disposti a collaborare sul tema, devono essere le Istituzioni europee a imporsi, non con blandi inviti, ma con disposizioni vincolanti: e questo è l’augurio di quella parte della popolazione italiana che, seppur risiedente al di fuori dei confini dell’Unione, crede ancora nel voto europeo.
Viola Scalacci