Era una partita che Maurizio Sarri attendeva da tempo, ma ci piace pensare che anche Pep Guardiola stesse desiderando con ansia l’arrivo di ieri sera. Per uno l’opportunità di confrontarsi con un precursore tanto giovane quanto esperto, per l’altro, invece, l’occasione per sfidare, finalmente, una squadra che sembra ricordare la sua idea di calcio.

Napoli e City, due squadre guidate da allenatori con filosofie di gioco simili, composte da interpreti che hanno assimilato ai limiti della perfezione i meccanismi imposti dai loro allenatori. Alla vigilia del match in molti avevano parlato di somiglianze, di punti in comune, di congruenze. Il campo ci ha dimostrato che, in realtà, le differenze non si contano sulle dita di una mano, né sono di poca rilevanza. Ciò è quanto ci è consentito dire almeno rispetto ai primi 45 minuti di gioco, nel corso dei quali la squadra partenopea è apparsa in balia dell’avversario che lo ha fatto rimbalzare su e giù per l’Etihad Stadium alla ricerca del pallone o di un modo per stoppare i velocissimi giocatori offensivi. Nella seconda parte il Napoli di Maurizio Sarri ha dimostrato molto più carattere ed ha giocato il calcio che tutti conosciamo, togliendosi la piccola, quanto effimera, soddisfazione di avere in mano il pallino del gioco per buona parte del tempo.

Dunque, interrogarsi sugli inammissibili errori del primo tempo o ripartire da quanto di buono visto nella ripresa? Tutte e due, si direbbe.

Incapace di impostare l’azione dal basso e di liberarsi dal pressing snervante degli inglesi, tendente ad adottare soluzioni azzardate e dettate unicamente dalla paura di perdere palla e consegnarla allo sfidante, il Napoli del primo tempo è apparso quello che in realtà rischia di essere in questa edizione di Champions League e, in generale, nel contesto calcistico europeo: una squadra inesperta.

In Champions League, l’approccio alla partita è qualcosa di fondamentale. Avversari del calibro del City (e in Europa non sono pochi) non perdonano errori grossolani in fase di impostazione o di fraseggio, né consentono marcature eccessivamente distanziate dai suoi giocatori o disimpegni difensivi come quello di Albiol (uno che di partite in Champions ne ha giocate) in occasione della seconda rete. A ciò, naturalmente, si aggiunge la preoccupante inconsistenza offensiva, con gli attaccanti troppo distanti tra loro e incapaci di dialogare con scambi rapidi e precisi come, al contrario, sovente accade nel campionato di serie A. Se poi, per giunta, ci si permette il lusso di sbagliare un calcio di rigore nel bel mezzo della gara, allora tutto diventa più complicato.

Maurizio
Mertens fallisce il penalty che avrebbe potuto cambiare il corso della gara.

Il fatto è che, per l’appunto, il campionato è un’altra storia. In occasioni importanti come queste il Napoli dovrebbe svestirsi dei panni della squadra che gioca il miglior calcio in Italia ed essere consapevole dell’avversario che si trova di fronte, la cui consistenza di gioco ha già avuto modo di consolidarsi in un contesto internazionale. La Champions è una competizione molto più impegnativa e che richiede massima attenzione soprattutto nelle trasferte. Ed è per questo motivo che errori come quelli commessi nel primo tempo di ieri non saranno più perdonabili d’ora in avanti, ammesso che il Napoli voglia effettivamente proseguire la sua avventura in Europa, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sullo scudetto, circostanza ormai nota a tutti.

Peraltro, ai dubbi appena elencati si accompagnano le perplessità relative alla insufficiente grandezza della rosa. Al 56° minuto Insigne è costretto ad uscire per un problema fisico e l’unico che, in quel momento, viene reputato il sostituto più appropriato, è Zielinski, spostato in avanti con Allan che prende il suo posto in mezzo al campo. Indubbiamente, è agevole riscontrare una inconsistenza numerica nel reparto offensivo, oltre che un eccessivo timore legato all’utilizzo di alcune pedine come il giovane Ounas, acquistato sì come sostituto di Callejon, ma più che adattabile, all’occorrenza, a sinistra. Vero è che l’ennesimo infortunio di Milik ha sconvolto nuovamente i piani di Maurizio Sarri, che si presume avesse già preso in considerazione l’idea di dover essere “costretto” a spostare Mertens sulla fascia al fine di non rinunciare a nessuno dei due, ma in uno scenario Europeo gli adattamenti o le paure non sono ammesse. Pertanto, è agevole intuire che l’inerzia sul mercato del Napoli realizzatasi questa estate la dice lunga sulla poca voglia di proseguire il percorso europeo fino alla fine.

Maurizio

Purtuttavia, il bicchiere mezzo pieno è dato vederlo con riferimento alla seconda frazione di gioco. I dubbi e le perplessità della prima parte sono stati fugati da una prestazione di carattere. Una squadra molto meno impaurita, che è riuscita a fare ciò che le riesce meglio: gestire e non buttare via la palla. E così si è visto un palleggio molto più efficace, una maggiore coralità nello sviluppo delle azioni e un pressing alto che ha costretto spesso il City a commettere vari errori di disimpegno, che avrebbero più volte potuto costargli caro. Sebbene ciò sia stato anche il frutto dell’inevitabile calo fisico del Manchester, il Napoli del secondo tempo ha dimostrato di meritare la partecipazione alla maggiore competizione europea, ma questa consapevolezza non basta se ad essa non si accompagnano prestazioni di uguale livello, sia in casa che in trasferta. Non basta sfoggiare performance memorabili in casa per poi soffrire e regalare metà partita agli avversari quando si è lontani dal San Paolo. In altre parole, deve essere la caparbietà e l’organizzazione vistasi nella seconda parte di gioco a caratterizzare le successive partite dei partenopei, pena l’uscita prematura dalla Champions. E ciò a partire dalla prossima sfida, in programma proprio con gli inglesi.

Maurizio
Diawara mette a segno il secondo rigore della partita e riapre il match.

Ma quanto si è visto è, indubbiamente, anche il frutto delle così simili, ma così diverse, personalità dei due allenatori. Prima della partita si erano complimentati a vicenda, con uno che aveva ammesso di spiare le partite dell’avversario, e l’altro che lo aveva considerato il migliore tecnico al mondo.

Eppure, nonostante la più giovane età, il campo ci ha detto che Guardiola ha dimostrato di possedere maggiore esperienza rispetto al collega, quanto meno nell’ambiente europeo, all’interno del quale il coach toscano è “ancora giovane”. D’altronde, si pensi che quando Pep vinceva la sua prima Champions League, Maurizio Sarri era l’allenatore del Perugia, all’epoca militante in Lega Pro, e che quando l’ex Brescia veniva incoronato Fifa World Coach nel 2011, il tecnico del Napoli veniva esonerato dal Sorrento. Ed è proprio sull’aspetto dell’esperienza che l’ex tecnico del Barcellona ha costruito gran parte della sua vittoria ieri sera. Al favoloso approccio alla gara, degno delle migliori squadre d’Europa, che ha lasciato di stucco l’avversario fino all’inevitabile e prevedibile calo fisico della ripresa, si è accompagnata una gestione perfetta del vantaggio e della partita in generale, con diverse occasioni, peraltro, non concretizzate soltanto a causa della sfortuna.

Insomma, quando si parla di Guardiola e Sarri è una delle poche volte in cui è il maestro ad essere più giovane dell’allievo (inteso, naturalmente, in senso lato). Ma le speranze che l’anziano discepolo, che tra l’altro ha avuto un percorso non ugualmente facile (è partito dal basso, non ha allenato Messi alla prima esperienza, né ha avuto mai a disposizione giocatori pagati a suon di quattrini), superi il giovane maestro, non sono poche.

Maurizio

Qualcuno ha già detto che al ritorno sarà tutta un’altra storia. Il San Paolo, si sa, genera nei calciatori del Napoli quella carica e quella forza che dovrebbe accompagnarli in ogni partita. E’ quel luogo nel quale i titolari si trasformano nelle «11 facce di ca**o» evocate da Sarri che palleggiano in faccia all’avversario. Ebbene, con un approccio migliore, una maggiore consapevolezza ed un pizzico di attenzione in più, il vecchio allievo avrà buone opportunità di prendersi la sua rivincita sul giovane maestro.

 

Amedeo Polichetti

 

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