Far fronte a una sempre maggiore richiesta di prodotti ortofrutticoli biologici tramite processi agricoli ecosostenibili e rigenerativi: è la battaglia che il settore agroalimentare dovrà affrontare quanto prima mediante soluzioni fattive che possano garantire quello sviluppo sostenibile che tarda ad arrivare. Nel ramo dell’agricoltura il motto “Pensare globale, agire locale” non è solo uno slogan astratto da gridare in loop unicamente in determinate occasioni, bensì il principio base su cui fondare piani d’azione utili a risolvere una delle più grandi sfide a cui l’uomo sembra non aver mai dato troppa importanza: la sicurezza alimentare, un diritto che appartiene, o meglio, che dovrebbe appartenere a tutti trasformato in un privilegio per i pochi nati nella parte “giusta” della Terra. Tra le buone pratiche agricole applicabili localmente prende sempre più piede l’agricoltura biointensiva, una tecnica di coltivazione che potrebbe essere d’aiuto soprattutto alle piccole comunità rurali in via di sviluppo e che permetterebbe a queste ultime di puntare a un’autosufficienza alimentare nel pieno rispetto dell’ambiente.
Perché puntare sull’agricoltura biointensiva
«Stiamo assistendo a una piccola rivoluzione in corso un pò dappertutto. È evidente che stanno nascendo metodi di coltivazione alternativi, prove di resistenza da parte della proprietà contadina incentrata sulle produzioni locali e caratterizzata dall’attenzione all’ambiente e dai rapporti tra i cittadini». Nel 2011 la giornalista Helene Raymond in collaborazione con l’economista francese Jacques Mathé pubblicò il libro “Un’agricoltura che ha un altro sapore. Storie di produzioni locali dal Nord America all’Europa“, un inventario di iniziative francesi, americane e canadesi concernenti l’agricoltura e l’alimentazione, grazie al quale è stato possibile diffondere formule diverse di agricoltura solidale, genuina ed ecologica.
Tra le nuove prassi agricole che prendono sempre più piede nel mondo contadino non può essere non citata l’agricoltura biointensiva, un metodo orticolo che punta a massimizzare la resa delle coltivazioni e che al contempo vuole preservare o migliorare la qualità del suolo. Il metodo biointensivo prevede innanzitutto l’esclusione dell’utilizzo dei mezzi agricoli meccanici e la realizzazione di aiuole rialzate permanenti e inizialmente arricchite da una grande quantità di sostanza organica. L’esclusione dei mezzi suddetti comporta l’uso di attrezzi specifici manuali, a esempio le grellinette, atti a lavorare il terreno in superficie senza quindi danneggiarne la struttura. Tali lavorazioni permettono di avere un terreno sciolto e fertile in cui le radici degli ortaggi riescono a penetrare in profondità favorendo una piantumazione riavvicinata dei vegetali che, una volta sviluppati completamente, permetteranno di conservare l’umidità in maniera migliore, impediranno la crescita delle erbe infestanti e creeranno una pacciamatura vivente. L’aumento della produttività non è l’unico vantaggio dell’agricoltura biointensiva. L’applicazione delle operazione suddette porterà a una riduzione significativa del lavoro che normalmente si svolge in un orto tradizionale.
Per aumentare ulteriormente produttività agricola dei sistemi biointensivi si ricorre a metodi già utilizzati nella più comune agricoltura biologica. Con l’aiuto di una calendario di produzione è possibile infatti pianificare con precisione la semina dei diversi ortaggi da piantare sullo stesso bancale mettendo in pratica uno dei processi fondamentali dell’agricoltura naturale e rigenerativa: la successione delle colture.
Messo a punto negli anni ’60 in California, il “biologicamente intensivo”, termine usato da Jean- Martin Fortier, agricoltore e autore del libro “The market gardener“, è un metodo di coltivazione praticato ormai in 143 Paesi in tutto il mondo. Dal Quebéc al Messico, dall’Ecuador alla Bolivia, dal Perù alla Francia: se la piccola ma grande rivoluzione dell’agricoltura biointensiva prende sempre più piede non è certo un caso. I sistemi biointensivi sono infatti caratterizzati innanzitutto dall’attenzione per le risorse naturali. Se paragonata ai sistemi agricoli meccanizzati, i suddetti sistemi utilizzano fino al 66% di acqua in meno, riducono le sostanze “rubate” al terreno del 50-100% e impiegano il 94% di energia in meno.
Nel “Manifesto per la terra e per l’uomo“, Pierre Rabhi, agricoltore e scrittore francese, afferma: «Non si potrà far sparire la dittatura economica se non organizzandosi poco a poco per non essere più dipendenti. Non è questione tanto di essere autarchici, ma piuttosto di essere autonomi e aperti ad altre autonomie». Non ci è dato sapere se il settore agricolo mondiale saprà rinnovarsi per rispondere alle sfide ecologiche e inerenti la sicurezza alimentare. Quel che possiamo affermare è che, oltre a essere un metodo altamente ecosostenibile, l’agricoltura biointensiva può essere la risposta alla domanda «È possibile per una piccola comunità raggiungere l’autosufficienza alimentare?».
Marco Pisano