La Buona Scuola è una delle riforme più discusse del governo Renzi: se da un lato prevede delle innovazioni che certamente servono al nostro sistema scolastico, soprattutto per quanto concerne gli obiettivi legati all’insegnamento, dall’altro ha invece dei limiti evidenti per quanto riguarda la lotta al precariato e le nuove assunzioni.
La riforma passa al Senato nel giugno del 2015 attraverso il voto di fiducia con 159 sì e 112 no, tra le proteste degli insegnanti e delle opposizioni. Nel luglio dello stesso anno è approvata anche dalla Camera con 277 sì, 173 no e 4 astenuti.
La legge propone il potenziamento dell’insegnamento delle lingue (con l’uso del CLIL), delle competenze matematiche e scientifiche, della musica e dell’arte, delle conoscenze digitali degli studenti, delle competenze in materia di diritto, economia e di cittadinanza attiva, ma anche del potenziamento dell’educazione fisica e dell’attività sportiva. Questa è la prima parte dei propositi, che risultano essere difficili ma non impossibili da realizzare.
Per quanto riguarda la seconda parte degli obiettivi formativi, la Buona Scuola si propone: la riduzione del numero di alunni per classe, l’apertura pomeridiana delle scuole, il contrasto alla dispersione scolastica e l’integrazione degli stranieri.
I dubbi riguardano soprattutto la riduzione del numero degli studenti per classe e l’apertura pomeridiana delle scuole. Infatti fin dall’approvazione ci si è chiesti come si potesse pensare di avere più aule a disposizione oppure di trattenere anche nel pomeriggio il personale ATA, dato che c’erano e ci sono sempre più province in deficit con grosse difficoltà a pagare i propri dipendenti e a gestire le strutture.
Tuttavia, le perplessità più grandi arrivavano dalla lotta al precariato e dalle nuove assunzioni.
Innanzitutto la stessa legge, per l’anno scolastico 2015/16, escludeva le 23mila maestre precarie delle scuole materne, per gli altri insegnanti si è invece parlato spesso di GaE, graduatorie a esaurimento. Poi c’erano i circa 60mila insegnanti che avevano diritto di iscrizione alle GaE, che per vari motivi non rientravano in lista – tutte persone dimenticate dalla manovra.
Al piano straordinario di assunzioni mancavano almeno 10mila insegnanti, per lo più docenti di matematica per le secondarie di I e II grado e insegnanti di sostegno. Nonostante i precari abilitati ci fossero. Molti di questi insegnanti avevano già prestato servizio come precari per oltre trentasei mesi.
Inoltre ha fatto discutere fin da subito la figura del preside “sindaco”, che può scegliere fino a tre insegnanti che hanno determinati requisiti. Il criterio di scelta è poco chiaro ed è parso un canale utile all’incentivazione del clientelismo e all’ulteriore allontanamento dei principi di uguaglianza e meritocrazia.
Dopo più di un anno tutti i dubbi sulla Buona Scuola sono confermati.
Infatti, il famoso concorso per l’assegnazione di 64mila cattedre, a causa di commissioni troppo severe, non è riuscito a coprire tutti i posti messi in palio e non ha neanche spedito tutti i docenti in cattedra già a settembre, come invece annunciato.
Si prevede che la metà dei posti rimarrà vacante per le troppe bocciature e che per assumere tutti i vincitori si dovrà aspettare il 2017. Perciò ci saranno migliaia di posti destinati a rimanere vacanti per un altro anno e a tappare questi buchi dovranno essere ancora una vota gli eroici supplenti, di cui la riforma si sarebbe dovuta sbarazzare per tagliare i costi dell’istruzione.
Per questi motivi gli insegnanti precari si sono mobilitati per la raccolta firme ai fini di chiedere un referendum abrogativo. Tuttavia la Corte di Cassazione ha comunicato al comitato referendario che sono state raccolte «poco meno delle 500.000 firme valide». Quindi per una manciata di firme non si può ottenere la prova referendaria.
Considerato il concreto e diffuso interesse mediatico, il fatto che la popolazione non possa esprimersi nel merito della Buona Scuola appare un’occasione mancata. Poche migliaia di firme, in questo caso, sono state determinanti e ciò evidenzia quanto sia difficile chiedere il riscontro referendario, malgrado ad oggi siano ancora richieste 500mila firme e non le 800mila previste dalla riforma costituzionale oggetto del referendum di dicembre.
Alessandro Fragola
Le ricostruzioni sui cambiamenti anche in un settore apparentemente complicato come la scuola devono essere precisi pena lo sbiadirsi di meriti e responsabilità.
Il CLIL non è una invenzione di Renzi e Giannini ma della Gelmini e tutti i problemi e le difficoltà che aveva allora ce li ha anche oggi dopo la L. 107.
In buona sostanza spesso i docenti CLIL non hanno il livello di conoscenza previsto e nel recente passato hanno perfino autocertificato il loro livello altro che i livelli del QCER…
Sul potenziamento non scherziamo: un conto è elencare, come nel libro dei segni, delle possibili priorità, altro è renderle effettive ed operative.
Ed anche su questo Renzi e la Giannini non hanno scoperto nulla: il cosiddetto “opzionale obbligatorio” (materie liberamente scelte da famiglie e studenti che diventano per quello curricolari ed obbligatorie) lo ha introdotto, senza alcun successo, la Gelmini nei Regolamenti sui Licei.
Non c’è una sola scuola in Italia, ad esempio, che abbia introdotto diritto e economia come opzionale obbligatorio curricolare.
Quanto poi ai docenti immessi in ruolo e/o utilizzati sul c.d. potenziamento, basta fare un giro nelle scuole per rendersi conto che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono stati inviati nelle scuole a prescindere dai piani triennali dell’offerta formativa e spesso persino in istituti o scuole incongrui.
Ad esempio sempre docenti di diritto e economia inviati persino nelle scuole medie inferiori oltre in scuole superiori dove (sono la magggioranza ormai) il diritto non s’insegna.
Errata corrige: il libro dei segni è in realtà il libro dei sogni.