proteste in Ecuador
Foto: Carlos Noriega

Le proteste in Ecuador hanno travolto l’intero Paese per dodici giorni fino a che, domenica 13 ottobre, il presidente Lenín Moreno è pervenuto a un accordo con il CONAIE (Confederazione dei popoli indigeni ecuadoriani) per fermare le proteste e ritirare il Decreto 883. Tramite questo decreto Moreno aveva annullato i sussidi statali per l’acquisto di diesel e benzina, una misura quarantennale che, cancellata in un sol colpo all’interno di un quadro di restrizione della spesa pubblica messo in atto per ottenere i finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale, ha dato origine a violente proteste.

Cos’è accaduto in Ecuador

In strada sono scesi prima i tassisti e gli autotrasportatori, in seguito gli studenti e, soprattutto, i popoli indigeni ecuadoriani. La gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni è stata critica. Da un lato, le attività governative sono state spostate dalla capitale del Paese, Quito, invasa da crescenti proteste, alla più tranquilla città costiera di Guayaquil. Dall’altro lato, in dodici giorni si contano 8 morti, 1.340 feriti e tra le 1.000 e le 1.500 persone detenute a seguito degli scontri con la polizia.

Il presidente dell’Ecuador Moreno ha chiesto e ottenuto nell’ultimo anno diversi aiuti da varie organizzazioni regionali e internazionali per un totale di più di 10 miliardi di dollari, di cui $4.2 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale – l’insieme di misure viene popolarmente chiamato paquetazo. I prestiti sono stati concessi sulla base degli effetti negativi congiunti dell’apprezzamento del dollaro (del quale l’Ecuador si serve come moneta ufficiale dal 2000), un crollo nel prezzo del petrolio (che rappresenta 1/4 degli incassi totali governativi) e un debito pubblico che dal 2009 non smette di crescere.

La politica dietro l’economia

Dopo giorni di proteste e di abusi della polizia, che verranno a breve indagati da un apposito comitato delle Nazioni Unite, il Presidente è giunto a un accordo con i popoli indigeni per reinserire il sussidio (che avrebbe fatto risparmiare $1.3 miliardi alle casse pubbliche ecuadoriane) e per tagliare invece su altre componenti della spesa statale. 

Nei primi giorni di proteste in Ecuador si sono levate, forti, le voci di Moreno e dei suoi collaboratori che accusavano Rafael Correa, ex Presidente popolare di sinistra dell’Ecuador, di organizzare un colpo di Stato per tornare al potere. Le proteste hanno inoltre sollevato dubbi di complicità tra il governo venezuelano di Maduro, osteggiato pubblicamente dall’Ecuador di Moreno, e gli oppositori ecuadoriani che hanno messo a ferro e fuoco Quito e le zone rurali. L’ex presidente Correa, ammiratore storico di Chavez, ha negato il suo coinvolgimento nelle proteste pur dichiarandosi al fianco degli oppositori.

proteste in Ecuador
Le protese ad inizio ottobre (Fonte: CholilaOnline)

Moreno si presentò alle elezioni presidenziali del 2017 come successore morale di Correa, che stava finendo il suo terzo mandato. In realtà, una volta salito al potere, Moreno ha iniziato a perseguire una politica di estrema apertura del Paese ai finanziamenti esteri, in combutta con il ministro dell’Economia, un super-ricco fortemente conservatore e nominato proprio da Moreno, Richard Martínez. Correa e Moreno entrano in rotta di collisione totale ben presto e il conflitto perdura ancora oggi, con l’intenzione di Correa di candidarsi alle presidenziali 2021 per sfidare proprio l’attuale Presidente, reputato un traditore.

L’ONU e e la Conferenza episcopale sono stati i principali mediatori questa delicata crisi. La soluzione alla quale si è giunti il 13 ottobre a seguito delle proteste in Ecuador è composta di più misure, volte a raccogliere un totale di $500 milioni. Innanzitutto, verranno innalzate (dallo 0,1% allo 0,2%) le tasse sulle imprese che fatturano più di $10 milioni di utili all’anno in Ecuador. Le altre, a partire da un $1 milione di utili, pagheranno imposte scaglionate dallo 0,1% allo 0,2%. Secondo, il rimpatrio di capitali verso l’Ecuador dovrebbe portare  $250 milioni nelle casse statali (secondo il Presidente e i rappresentanti del CONAIE), anche se più realisticamente si parla di incassi che non dovrebbero superare i $150 milioni. Infine, le piattaforme digitali dovranno pagare più tasse, fino a $20 milioni. 

Ecuador
Il Presidente del CONAIE Jaime Varga con Lenín Moreno nel 2017 (Fonte: Twitter Lenín Moreno)

I popoli indigeni si sono mostrati i più agguerriti fin dall’inizio delle proteste in Ecuador. Proprio le loro proteste hanno portato alla caduta di tre presidenti ecuadoriani (1997, 2000 e 2005). A guidarli nelle ultime proteste sono stati principalmente due personaggi: Jaime Vargas, critico dei progetti di estrazione mineraria sui suoli indigeni, e Leonidas Iza Salazar, capo della Commissione dei Giovani del Movimento Indigeno e Campesino di Cotopaxi.

L’ecologia: una roba da ricchi?

Il paragone tra le proteste in Ecuador e l’inizio della rivolta dei gilet gialli (che ancora in questi giorni scendono in piazza nella capitale francese) sorge spontaneo. Non solo, ma in buona parte si rivela corretto, poiché a grandi linee stiamo affrontando lo stesso problema. Il tutto nasce, in entrambi i casi, da una misura che, presa in quanto tale, in valore assoluto, è inattaccabile: per favorire la transizione ecologica, si alzano le tasse sui carburanti. Così è avvenuto in Francia, così è avvenuto in Ecuador dove il costo del diesel (il più utilizzato dalle classi medie e meno abbienti) è aumentato del 123% da un giorno all’altro. Qual è il problema di queste persone? Sono anti-ecologiste?

Moreno
Foto: Lorenzo Ghione (2018)

Non proprio. Alzare il prezzo del diesel si tramuta in una possibilità minore di movimento, in particolare per chi vive nelle zone rurali o peri-urbane; in gran parte, in Paesi come l’Ecuador ma anche in Francia, a queste zone geografiche corrisponde un minor sviluppo economico e una maggiore povertà rispetto alle capitali, Quito e Parigi – ma anche rispetto a qualsiasi città industriale. Alzare i prezzi significa quindi ridurre la possibilità di movimento dei più poveri lasciando intaccata la situazione dei più benestanti, che l’ecologia possono permettersela. Non si può nascondere che molte persone che abitano zone rurali hanno bisogno dell’automobile (per lavorare, in primis) e quindi del carburante, molto più dei cittadini che possono fare affidamento anche, banalmente, sui mezzi pubblici.

Le proteste in Ecuador hanno mostrato la necessità pressante per i governi di conciliare imperativi ecologici irrinunciabili (perché sì, ormai siamo in ritardo e questo mondo sta finendo) a elementi di redistribuzione economica. Tra le varie soluzioni si possono fornire sussidi specifici per chi è praticamente costretto a utilizzare mezzi di trasporto propri o, ancora meglio, incentivi sostanziosi per passare dalle automobili a diesel/benzina all’ibrido o all’elettrico – laddove possibile, chiaramente. Eppure, per il momento, nulla di tutto ciò sta avvenendo né in Francia né in Ecuador: o la tassa c’è, e il popolo scende in piazza, o la tassa non c’è, e l’abuso di carburante continuerà a inquinare il nostro già inquinato mondo.  

Lorenzo Ghione

3 Commenti

  1. Ottima analisi, interessante il risalto sulle popolazioni indigene, che hanno sempre dato un grande valore alla difesa dell’ambiente, e la loro protesta per la tassazione dei carburanti, soprattutto il gasolio utilizzato dalle classi meno abbienti e soprattutto rurali ( vedi paragone con la Francia).
    Il nesso della questione sta tutto nella chiusa dell’articolo, se non si attueranno politiche veramente in difesa dell’ambiente incentivando forme di mobilità sostenibile tutto sarà inutile.

  2. Ho apprezzato molto l’articolo per la consueta chiarezza e perché ci fa riflettere su quelli che sono problemi comuni anche con paesi lontani e ci sollecitano a cercare insieme soluzioni possibili

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