Da tempo il Parlamento Europeo ed il Consiglio sono alle prese con una riforma del copyright che stenta a decollare a causa delle aspre critiche ricevute da più fronti.

La proposta di legge, già presentata nel luglio 2018, è stata modificata nel mese di settembre, dopo aver discusso decine di emendamenti proposti dagli europarlamentari; nonostante ciò, sono però rimasti i due articoli più controversi: l’11 e il 13.

In base a quanto disposto dall’art. 11, gli Stati membri dovranno far sì che gli editori ottengano “una giusta e proporzionata remunerazione per l’uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni”.

L’articolo 13, quello che desta più preoccupazioni, vuole introdurre un “filtro sugli upload”: le piattaforme web sulle quali è possibile caricare contenuti dovranno concludere contratti di licenza con i proprietari dei diritti. In mancanza di accordo, tali fornitori di servizi online saranno costretti a predisporre misure che portino alla non disponibilità di contenuti che violino il diritto d’autore o diritti correlati. Grazie agli emendamenti approvati a settembre, sono stati esclusi da questa norma i piccoli aggregatori di notizie, le enciclopedie libere (Wikipedia) e le piattaforme open source.

Ma vediamo nel dettaglio in cosa consiste il citato art. 13 della proposta di direttiva, sul copyright nel mercato unico digitale, atto a regolamentare l’utilizzo di contenuti protetti, da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti:

  1. I prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno pubblico accesso a grandi quantità di opere o altro materiale caricati dagli utenti adottano, in collaborazione con i titolari dei diritti, misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi con essi conclusi per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte ad impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi. Tali misure, quali l’uso di tecnologie efficaci per il riconoscimento dei contenuti, sono adeguate e proporzionate. I prestatori di servizi forniscono ai titolari dei diritti informazioni adeguate sul funzionamento e l’attivazione delle misure e, se del caso, riferiscono adeguatamente sul riconoscimento e l’utilizzo delle opere e altro materiale.
  2. Gli Stati membri provvedono a che i prestatori di servizi di cui al paragrafo 1 istituiscano meccanismi di reclamo e ricorso da mettere a disposizione degli utenti in caso di controversie in merito all’applicazione delle misure di cui al paragrafo 1.
  3. Gli Stati membri facilitano, se del caso, la collaborazione tra i prestatori di servizi della società dell’informazione e i titolari dei diritti tramite dialoghi fra i portatori di interessi, al fine di definire le migliori prassi, ad esempio l’uso di tecnologie adeguate e proporzionate per il riconoscimento dei contenuti, tenendo conto tra l’altro della natura dei servizi, della disponibilità delle tecnologie e della loro efficacia alla luce degli sviluppi tecnologici.

Precisiamo innanzitutto che la direttiva è un atto legislativo non vincolante in tutti i suoi elementi, cioè: stabilisce un obiettivo che tutti i Paesi dell’UE devono realizzare; tuttavia, spetta ai singoli Paesi definire attraverso disposizioni nazionali in che modo tali obiettivi vadano raggiunti.

In Italia sicuramente questa disposizione sarebbe mitigata dall’art. 21 della nostra Costituzione, che afferma: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.” Certamente questa è una delle più elevate garanzie che abbiamo a tutela della nostra libertà di espressione.

Resta però il problema di una direttiva confusionaria, che mina la libertà degli utenti di internet e sovraccarica di oneri le piattaforme online, che tutti noi utilizziamo (per ora) gratuitamente.

Se YouTube fosse costretto ad applicare un filtro d’ingresso per tutelare il copyright, dovrebbe sostenere costi elevatissimi sia per progettare il sistema, sia per mantenerlo, farlo funzionare e gestire le liti che ne deriverebbero.

Attualmente YouTube interviene solo a seguito di segnalazioni, dunque opera un controllo ex post su determinati contenuti. Quello che si vuole introdurre è un filtro ex ante, cioè addirittura prima che il file venga caricato sulla piattaforma.

Tutti i costi che ne deriverebbero certamente ricadrebbero sull’utente finale, ovvero su tutti noi: così facendo, non solo ci sarà una orwelliana limitazione della diffusione dei contenuti, ma si rischia anche di far diventare a pagamento un servizio che diffonde contenuti gratuitamente.

Inoltre, i promotori della proposta europea non hanno tenuto conto del fatto che oggigiorno sempre più giovani si fanno conoscere grazie a YouTube, regalando le proprie canzoni o la loro comicità a tutto il mondo semplicemente caricando video sulla piattaforma. Caricare online un contenuto permette di averne un ritorno pubblicitario – e poi, si spera, un profitto; costringere un giovane artista a pagare un manager o un avvocato per concludere accordi con la piattaforma per proteggere il suo copyright sembra davvero assurdo, oltre che controproducente.

Dunque questa direttiva, se approvata, potrebbe produrre elevati costi a carico di più parti:

  • la piattaforma che ospita i file caricati, costretta a sviluppare un software di filtraggio dei contenuti;
  • coloro che fanno upload di contenuti sul web, costretti a concludere accordi con la piattaforma;
  • gli utenti finali a cui YouTube farà pagare l’utilizzo per rientrare dei costi sostenuti.

Oltre ai costi, sono da considerare i non meno preoccupanti problemi circa la restrizione dei diritti di chi usufruisce di queste piattaforme, sia come “viewer” (diminuendo la possibilità di utilizzo dei contenuti) sia come “uploader” (restringendo difatto la libertà di espressione e diffusione dei contenuti).

Terza questione da non sottovalutare: le piattaforme più grandi, avendo già dei costosi sistemi di filtraggio, si ritroverebbero in una posizione di vantaggio commerciale rispetto alle piccole piattaforme, nonché alle eventuali piattaforme nascenti.

Insomma, la proposta di direttiva sul copyright, che auspichiamo venga riformata nei prossimi mesi, rischia di rendere internet super controllato e di élite: i diritti che garantiscono le libertà di espressione e di informazione sono seriamente minacciati; il web deve rimanere libero e di tutti!

Clara Vincelli

1 commento

  1. Da una parte difendi YouTube che non può sopravvivere ai clamorosi costi di un filtro web, dall’altra accusi che YouTube e i colossi domineranno il web, o una o l’altra, o fallisce o domina..
    Già il primo articolo che hai menzionato parla di ” grandi quantità di opere o altro materiale caricati dagli utenti “, il problema per nuove piattaforme emergenti non si dovrebbe porre.. Per il filtro non ti rispondo nemmeno, con il fatturato di google una delle imprese più ricche al mondo fa ridere parlare che gli tolgono i soldi..
    Io avrei letto e discusso anche i punti successivi, va bene libero pensiero ma se ti metti a discutere e analizzare un articolo si analizza un po tutto non solo i primi punti che fanno comodo..io non ho letto tutto l’articolo mi sono fermato al 90esimo punto, ma si parla di tutela da contenuti sponsorizzati, la trasparenza dei video, tutela dalle bufale, la tutela ai minori che sono in balia del marketing, etc etc..Questo però non lo dice..

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