Qualunque forma di potere esistente non può prescindere dall’organizzazione di una gerarchia cristallizzata e cristallizzante. Senza una scala sociale stilizzata e immobile, nessun tipo di potere avrà mai la possibilità di esercitare efficacemente il controllo sui propri sudditi. 1984 di G. Orwell ha gettato le basi per una predizione sulla nostra società. La distopia è divenuta realtà, ma in un modo molto più oscuro rispetto a quella descritta da Orwell, benché complessivamente agente. Totalizzante è, infatti, la maniera in cui il sistema odierno riesce a tenere a bada i propri membri, trattandoli al pari di ingranaggi di una grande macchina; ognuno può conservare la propria libertà, nella misura in cui si limiti a compiere le proprie mansioni, immorali e sotto-pagate che siano. Di fatto, “libero” significa essere schiavo e alienato, relegarsi a una servitù volontaria. Schiavo del lavoro, del consumo e del mercato.
Il bipensiero descritto in 1984 si dipana e si sviluppa nell’odierna società digitale e del controllo. Infatti basta impedire all’individuo, attraverso i mezzi di divulgazione, d’educazione e d’informazione, di discernere il vero dal falso in modo che risulti impossibile sviluppare un’idea logica e coerente. Ciò avviene sostenendo delle verità tra loro contrapposte e stimolando l’assenza di memoria riguardante ogni gesto compiuto o parola espressa; se l’indecisione e l’arbitrarietà ideologica investono l’intero scibile, si rinuncerà al proposito stesso di avere un’idea propria. Un uomo a-critico che non ha basi per giudicare, e che lentamente dis-impara del tutto a farlo, non potrà mai ribellarsi a un ordine precostituito.
Società del Controllo
M. Foucault ha collocato le società disciplinari tra il XVIII e il XIX secolo; giungono al loro apogeo all’inizio del XX. Successivamente si ha la società del controllo. Nelle società disciplinari non si finiva mai di ricominciare (dalla scuola alla caserma, dalla caserma alla fabbrica), mentre nelle società del controllo non si è mai finito con nulla, in quanto l’impresa, la formazione, il servizio sono gli stati meta-stabili e coesistenti di una stessa realtà modulata e illimitatamente variabile. Le società disciplinari hanno due poli: la firma che indica l’individuo, e il numero di matricola che indica la sua posizione in una massa. Nelle società disciplinari, il potere è al tempo stesso massificante e individualizzante. Nelle società del controllo, al contrario, l’essenziale non è più né una firma né un numero ma una cifra: la cifra è una mot de passe (codice d’accesso universale).
Il linguaggio digitale del controllo è fatto di cifre che segnano l’accesso all’informazione, all’identità sociale, alle quotazioni economiche. La cifra stabilisce la centralità del calcolo, e del guadagno e del consumo. Le società del controllo operano per macchine di terzo tipo, macchine informatiche e computer. Non ci si trova più di fronte alla coppia massa/individuo. Gli individui sono diventati divisibili, e le masse sono dei campionari statistici, dei dati, dei calcoli numerici di domanda/offerta per i mercati. Tale evoluzione tecnologica collima con una mutazione profonda del capitalismo. Il capitalismo della super-produzione ha fatto del marketing lo strumento del controllo sociale. Il controllo è a breve termine e a rotazione rapida, ma anche continuo e illimitato, come la disciplina era di lunga durata, infinita e discontinua. L’uomo non è più l’uomo recluso e disciplinato, bensì l’uomo indebitato. Il capitalismo ha mantenuto come sua costante l’estrema miseria di tre quarti dell’umanità, troppo povera per il debito, troppo numerosa per la reclusione. Il risultato momentaneo è stato la globalizzazione.
Il controllo diviene l’elemento fondamentale della contemporaneità globalizzata. Grazie a esso, gli uomini ottengono spazi autonomi, dove possono, come sostiene M. Foucault, «scegliere le condotte», ovvero prendere scelte individuali rintanandosi in un universo online/offline creato su misura, rinunciando progressivamente alla loro libertà politica. Questo è il meccanismo che i cittadini occidentali del XXI secolo vivono ogni giorno. Bombardamenti mediatici continui modificano il loro pensiero, muovono le loro azioni e regolano la loro vita. Marchi multinazionali onnipresenti si instaurano nella loro quotidianità, attraverso la martellante propaganda. Demagoghi, tecnocrati e burocrati sfruttano la passività generale, per ergersi in cima a una piramide sociale, tanto ricca materialmente quanto povera spiritualmente ed eticamente. È il mondo del Big Brother is watching you. Nella società del controllo, il tempo è quello di un eterno presente e lo spazio è quello dell’indifferenza e dell’artificialità, dell’apatia e del consumo costante. Consumo, dunque sono.
Servitù volontaria.
É. de La Boétie, nella sua opera Discorso sulla servitù volontaria, scrisse: «E di tutte queste indegnità, che neanche le bestie potrebbero accettare o sopportare, voi potreste liberarvi se provaste, non dico a liberarvene, ma solo a volerlo fare. Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi».
La schiavitù di un essere vivente è insita nella sottomissione a una causa esteriore; la libertà, al contrario, consiste nel suo non sottomettersi, ma nell’affrancarsi. La servitù volontaria designa uno stato di non-libertà, di assoggettamento, la cui peculiarità è nel fatto che la causa della schiavitù non è esterna, ma interiore. Il soggetto si sottomette volontariamente e diviene l’autore della propria servitù; diviene complice del proprio tiranno, e rifiuta la propria auto-emancipazione. Ma non vi è nessun dualismo, poiché nessuno detiene nello specifico il potere, infatti il potere è un sistema dinamico a cui partecipano in egual modo il padrone e lo schiavo. N. Chomsky sostiene che i sistemi democratici devono, non essendo intenzionati a mantenere l’obbedienza con la forza, non solo controllare ciò che il popolo fa, ma anche quello che pensa. La strategia della distrazione.
Egli scrive: «sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli il tempo di pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali».
Biopolitica: controllo politico della vita. Un nuovo modo di intendere il concetto di popolazione, come corpo compatto governato da determinate e precise leggi. L’importante e indissolubile legame tra biopolitica e capitalismo ha fatto sì che le nuove tecniche di potere agiscano specialmente a livello dei processi economici, per consentire contemporaneamente la crescita e la docilità, ovvero la governabilità della popolazione. Si tratta di un governo razionale, che è però ben più dispotico di quel potere sovrano che esercitava il re sul suddito; è razionale perché segue una logica ben precisa che promette risultati dal sapore estatico (il benessere, la felicità), è più dispotico perché le sue trame sono nascoste appunto sotto questa razionalità, che fa apparire giustificata anche l’azione più aberrante.
La resistenza a un simile tipo di potere è difficilissima perché si rimane incastrati in tale logica e anzi la si fomenta. Perché si tende al solo benessere individuale in opposizione al malessere altrui, e la paura di subire lo stigma della povertà suscita odio e conduce all’accettazione delle indicazioni normalizzatrici dei governanti (governamentalità).
Nell’obbedienza si opera una cancellazione di se stessi, si assimilano dei processi disciplinari/neutralizzanti tesi all’automatismo, alla passività. Invece, nella disobbedienza emerge l’azione collettiva, l’espressione di una presa di coscienza al di là della propria individualità; si è partecipi del proprio tempo storico-sociale: un risveglio di sé come parte dell’universale. La libertà come desiderio, come eccesso, come ambizione imperitura, come moto rivoluzionario. La libertà è una frontiera oltre la quale sta a te giocare, a te con tutte le tue incertezze; è una scommessa, un agire sul bordo abissale delle certezze. Nella lotta si è già più liberi, forse resistere è l’unica concreta possibilità che permane.
Gianmario Sabini