L’Europa, nell’ultimo decennio, è stata coinvolta in svariate complicanze le quali hanno delineato le peculiarità politiche e la pragmatica delle sue azioni. L’incognita che ha fatto vacillare l’esile equilibrio è quella inerente all’immigrazione. Si è discusso abbondantemente in merito alle manovre da adottare e alle politiche “risolutrici”, ma è stato analizzato poco il fenomeno dalla parte di coloro che quotidianamente sono costretti a rinnegare la propria terra.
Al dilatarsi del fenomeno migratorio, parallelamente, il settore relativo alle aziende che forniscono, ai paesi europei, tecnologie e strumentazioni per “proteggerci” dai flussi d’immigrazione, ha registrato un elevato consenso dato che si è scelto di servirsi di congegni in grado di tutelare i propri confini. Ciò ha determinato uno spropositato incremento del mercato di tutte quelle aziende commissionate.
Il business che si cela dietro alle frontiere è un florido mercato. Quotidianamente si sceglie di rafforzare le tecnologie a propria disposizione. Ciò richiede un ingente esborso. Per questo motivo è in atto un ascesa di aziende specializzate nella forniture di tecnologie per implementare la sicurezza.
A giovare di tale necessità sono alcune tra le big del settore: Finmeccanica, Thales, Airbus, Safran e Indra. Tra i beneficiari di questi finanziamenti emergono alcune aziende israeliane: tali aziende, hanno avuto la possibilità di fortificare i confini di Bulgaria e Ungheria, memori delle conoscenze tecnologiche nella costruzioni di mura acquisite nell’esperienza in Cisgiordania e Gaza.
Alcuni indizi avvalorano questa tendenza a favore di specifiche aziende: nel 2012 il mercato globale delle gestione delle frontiere costava circa 29 milioni di dollari; si prevede una crescita del capitale, riservato alle frontiere, che ammonterà a circa 50 miliardi di euro nel 2022. Un’altro fattore probante è quello che riguarda la Frontex. Il bilancio di Frontex, nel 2017, raggiungerà l’apice di 281 milioni rispetto ai 6,3 milioni che fatturava nel 2005. Un netto aumento di investimenti. Oltretutto, nel 2017, saranno previsti altri 300 milioni per trasformare l’agenzia Frontex.
La controversia della vicenda si palesa nel momento in cui le stesse aziende vendono armi ai paesi in guerra nel Medioriente. Queste guerre provocano migrazioni e fuga dalle proprie terre. Quindi, per arginare queste immigrazioni, si ricorre alle eccezionalità delle aziende. Un effetto domino il quale favorisce esclusivamente il “fronte industriale”
Gli investimenti, non sembrano però dispiacere ai membri dell’Unione Europea. D’altronde, l’unica pretesa è una maggiora sicurezza; infatti, la richiesta è sempre maggiore noncuranti dell’ammontare delle somme per proteggerci da pericoli “fittizi”.
Le parole di Dimitris Avramopoulos, commissario per le migrazioni, confermano tale tesi; infatti, lo scorso 6 ottobre, nel luogo che separa Bulgaria e Turchia dichiarò: «Oggi è una pietra miliare nella storia della gestione delle frontiere [..] In meno di un anno abbiamo creato una frontiera europea a tutti gli effetti e il sistema di guardia costiera. Questa è esattamente la risposta di cui abbiamo bisogno per la sicurezza e migrazione, sfide del 21° secolo».
Ma un dubbio sorge spontaneo. È davvero questa la soluzione in grado di proteggerci e che tuttavia collide con il rispetto e la tutela dei diritti umani?
Oltretutto, un sistema più rigido, più complesso e più rischioso, non può porre fine della fuga di superstiti in modo radicale; l’eventualità in cui si può incorrere è che ci sia una ricerca di percorsi alternativi che comportino un pericolo maggiore, più di quanto non sia oggi . Bisogna interrogarsi, quindi, se è possibile considerare o meno tale sistema come efficace. Da questo proposito, nascono alcune associazioni “ong” le quali contestano il sistema con lo scopo di sensibilizzare la pericolosità che concerne la metodologia.
Il ricercatore Mark Akkerman, della ong olandese Soptwahpenhandel, nel dossier “Borders Wars” fece notare tutte le orripilanti e controversie azioni,celate dietro la vendita delle armi, con lo scopo di portare all’attenzione globale la complessità della situazione. Il rapporto, in Italia, venne rilanciato dalla “Rete italiana per il disarmo”. Oltretutto, l’organizzazione italiana punta a creare “Milex” un osservatorio indipendente che punta a raccogliere maggiori informazioni e analizzare dati inerenti alla vicenda. In Europa, la Frontexit, nel lancio della sua campagna anti-frontiere, scrisse: «Rafforzando il mandato dell’agenzia Frontex, Bruxelles mostra disinteresse nei confronti dei diritti umani e continua a non affrontare i problemi emersi dal contesto migratorio degli ultimi due anni».
Vincenzo Molinari