Hong Kong ha iniziato la settimana con la grande mobilitazione di migliaia di studenti provenienti da una ventina di università e college in protesta.

Le ragioni del malcontento sono da individuarsi nella proposta del governo cinese di cambiare il regime elettorale di Hong Kong: dal 2017, si vorrebbe permettere ai residenti di votare direttamente il governatore della città-stato, ma a Pechino rimarrebbe il potere di nominare un comitato fedele al regime che decida quanti e quali candidati possano avanzare le proprie candidature. Da quando l’ex colonia britannica è stata restituita alla Cina nel 1997, è in vigore infatti la formula “un paese, due sistemi” che garantisce a Hong Kong una considerevole autonomia legale, senza paragoni nel resto del Celeste Impero.

“Gli studenti universitari devono assumersi la responsabilità di questi tempi. Boicottare le lezioni è solo la prima ondata di resistenza: oggi non è l’ultimo passo per noi, ma il primo, e numerosissime campagne di resistenza porteranno i loro frutti”, ha arringato Nathan Law Kwun-chung, leader dell’unione studentesca dell’Università Lingnan.

La mobilitazione universitaria, che andrà avanti per tutta la settimana, è l’avanguardia del movimento di protesta: venerdì si uniranno gli studenti delle superiori, ed è atteso il supporto di Occupy Central, il maggior gruppo pro-democrazia che dovrebbe essere in grado di portare le manifestazioni nel distretto centrale della città, il cuore dell’economia e della finanza.

Le proteste hanno solo una minima possibilità di far cambiare idea alle autorità di Pechino per consentire un voto libero, ma gli attivisti dicono di essere pronti a lottare per anni. “Dobbiamo incrementare il nostro potere negoziale e dire a Pechino che la gente di Hong Kong è pronta a sacrificarsi di più”, ha dichiarato il segretario della federazione degli studenti Alex Chow Yong Kang: la frustrazione nei confronti delle politiche cinesi è molto ben radicata tra i giovani hongkonghesi, e la battaglia sul voto ha dato anche a molti “apolitici” il coinvolgimento su questioni civiche.

Sui 7 milioni di abitanti di Hong Kong, sono più di 78000 gli studenti universitari: circa 13000 hanno partecipato all’adunata odierna, ma non si sa ancora quanti abbiano partecipato al boicottaggio delle lezioni: è un segnale delle difficoltà che incontra il movimento: “Penso che l’intero movimento democratico capisca che Pechino non cederà,” afferma il professor Joseph Cheng della City University of Hong Kong, “qualsiasi campagna che non possa raggiungere obiettivi concreti in un periodo di tempo ragionevole è destinata ad essere molto, molto difficile”. Per qualcuno, tuttavia, l’idealismo e la rabbia sono superiori ai risultati pratici: “Non so se questa protesta influenzerà davvero la decisione cinese, ma sono sicura che se non ne prendessi parte me ne pentirei in futuro, devo unirmi alla protesta per lottare per la democrazia ad Hong Kong nel futuro” dice Cathy Lee, studentessa 21enne.

Il consiglio cittadino potrebbe opporre un veto alla proposta cinese, ma è stato detto chiaramente che si tratta di un pacchetto “tutto o niente”, e che in caso di rifiuto sarebbe chiusa la possibilità di eleggere con un voto popolare il governatore della città. Il presidente Xi Jinping non sembra disposto ad accogliere la richiesta di democrazia, ed i più importanti tycoons di Hong Kong si sono già detti preoccupati dei possibili effetti della protesta sui mercati finanziari e sull’immagine della città.

Simone Moricca

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