«Per favore signore, questo è un vagone riservato alle donne. Devo pregarla di scendere». L’agente di polizia usa un tono cortese, ma fermo, in mezzo al caos di una delle decine e decine di fermate della metropolitana di Città del Messico. Non si può fare a meno di ottemperare all’ordine ricevuto, senza però prima aver notato che, sì, effettivamente tutt’intorno si trovano solo signore, ragazze e bambine.
La spiacevole sensazione di essere nel posto sbagliato, insieme ad un colpevole imbarazzo, assale fino ad un momento prima di essere saliti sul vagone giusto, due carrozze più dietro, separato dal resto del treno da alcuni grossi divisori arancioni sulla banchina. “Come diamine è stato possibile non notarli?”, ci si chiede, inevitabilmente, mentre si rimuove il senso di disagio che, tutto a un tratto e per una volta, assale l’uomo per il solo fatto di essere maschio. Si potrebbe dire che, a parziale giustificazione, il vagone riservato a “damas y menores de 12 años ” è una creazione per lo meno inusuale, spiazzante e sicuramente inaspettata: come immaginare che la metro di una delle più popolose e vitali città del mondo sia divisa letteralmente in tronconi riservati all’uno o all’altro sesso? Ebbene, basta informarsi su una misura che, quando fu attuata a Città del Messico, si ritenne necessaria per motivi di ordine pubblico e tutela dei diritti delle donne, per avere una risposta.
In principio fu il Giappone, Paese da sempre simbolo di modernità tecnologica ed efficienza, a stabilire una separazione dei vagoni della metro per evitare i frequenti casi di molestie sessuali da parte degli uomini. A Città del Messico l’idea si cominciò a discutere già nel 1970, per poi finire all’ordine del giorno del dibattito politico del Distrito Federal (oggi semplicemente Città de Messico, città – Stato autonoma all’interno della Repubblica Federale) nei primi anni 2000. Nel 2007 si ebbe l’ufficialità della misura che ancora oggi resta in vigore, con periodici ammodernamenti e, se possibile, ampliamenti. Dai bus ordinari a quelli veloci, altri mezzi di trasporto pubblico sono stati progressivamente coinvolti da iniziative “segregazioniste” (come le considerano i detrattori) simili. Lo slogan è quello di sempre: «Viajemos Seguras», viaggiamo sicure.
La questione dei divisori nella metro o dei bus riservati è però solo la punta di un iceberg di una condizione femminile che, in Messico, è da sempre (e sempre più) difficile. La sotto-cultura della molestia, dell’abuso e della violenza sessuale trova applicazioni quotidiane nella società civile e nel mondo del lavoro. La pratica della “divisione dei sessi” è solo la conferma più evidente di un’incapacità, da parte del sistema-Paese, di cercare e trovare soluzioni più profonde, vale a dire correttivi a mentalità e cultura sociale, ad un problema che rimane sempre drammatico, che segue la donna in ogni momento della giornata, anche sul vagone di un treno che porta a casa o al lavoro.
Non che l’attenzione sul tema non sia sempre alta, su più canali. Le molteplici sfaccettature della violenza di genere abbracciano dibattiti accademici e politici ed è un tema centrale delle prossime elezioni presidenziali. Gli spot elettorali di diverse forze politiche interpretano la voce di cittadine indignate che chiedono di non doversi più sentire in pericolo solo perché donne; altri invocano poi la parità retributiva e di riconoscimento della dignità del lavoro, in un Paese in cui molta manodopera femminile è impegnata in interessanti e produttive attività di lavoro domestico, in particolare nelle aree rurali, come testimoniano importanti studi universitari.
Diverse candidate a posti politici di una certa responsabilità oggi sono donne: una donna è candidata alla Presidenza della Repubblica, una a quella del Governo della Città del Messico e, più in generale, le donne, nei partiti, costituiscono sicuramente una rilevante componente, in grado di far sentire la propria voce come efficace gruppo di pressione. Nella Città del Messico, poi, si è tenuta nello scorso febbraio la conferenza mondiale del movimento “Women 4 Climate“, evento di rilevanza globale non soltanto, com’è facile intuire, dal punto di vista dell’implementazione delle politiche ambientali.
Il problema, però, è che evidentemente a questi risultati positivi non corrisponde del tutto un miglioramento della parità di genere, ma piuttosto una forbice di diseguaglianza che in un certo senso si allarga tra l’élite sociopolitica e, appunto, il resto della società civile. Il sentimento diffuso in quest’ultima appare ancora orientato verso l’indifferenza più o meno elevata nei confronti del valore della dignità, delle attività e della stessa vita femminili, a più livelli. L’attenzione a questo tipo di vicende non si ferma alla dimensione interna del Messico, ma abbraccia da tempo ulteriori gruppi di interesse e organismi, anche a livello sovranazionale.
Basti pensare che l’ONU ha prodotto un eloquente «Diagnóstico sobre la violencia contra las mujeres y las niñas en el transporte público de la Ciudad de México», proprio per discutere i (non) risultati della “politica della riserva” femminile sui mezzi pubblici. I quotidiani locali parlano di cattiva applicazione delle norme di protezione delle donne, con una latente incertezza normativa a livello penale, anche a causa di differenze tra le legislazioni, soprattutto sulle pene da comminare ai molestatori, nei diversi Stati della Federazione messicana. Si parla anche di episodi di corruzione in cui incorrono gli agenti incaricati della sorveglianza degli spazi o di poco significative riduzioni del numero degli abusi commessi, che indica che quello che si è fatto non è abbastanza. Tutto ciò, in un contesto in cui la violenza contro le donne fa discutere anche nelle università, come l’Universidad Nacional Autónoma de México, dove spesso si assiste a dimostrazioni contro professori molestatori o stupratori di studentesse. In occasione dell’8 marzo, sempre le Nazioni Unite hanno sollecitato il Governo messicano a prendere posizioni ancora più radicali contro i femminicidi (tema di rilevanza sempre più centrale anche in Europa e specialmente in Italia), vera e propria piaga contro cui il primo nemico, si dice, è l’impunità degli assassini.
Come si accennava, la soluzione può consistere esclusivamente in un lento e faticoso cambio culturale. In questa direzione si muovono agenzie governative come il Consejo Nacional para Prevenir la Discriminación (CONAPRED), particolarmente impegnato, negli ultimi tempi, sul tema del lavoro e della parità di diritti e retribuzione.
Per ora, però, i grandi divisori arancioni, materialmente nella metro e metaforicamente nella vita di tutti i giorni, rimangono. Uscendo dalla stazione, l’occhio si posa su un quotidiano formato tabloid venduto da uno strillone. A margine dell’immagine a tutta pagina di un cadavere insanguinato, appartenente – pare – alla vittima di uno dei tanti omicidi criminali, c’è la foto di una bella ragazza seminuda. Una donna e un cadavere: due “pezzi di carne”, due “oggetti sensazionali”, esposti crudamente, allo stesso modo, per “farsi vedere” e vendere.
Ludovico Maremonti