C'era una volta a Hollywood
fonte: lost in cinema

C’era una volta a Hollywood.
Come è difficile non dire cose già dette.
“Il capolavoro di Tarantino”.
“Un film onanista, arrogante, senza trama, ma di sicura estetica e sentimento”.

C'era una volta a Hollywood
fonte: Coming Soon

La prima l’hanno detta i tarantiniani. La seconda tutti gli altri o quasi, parafrasando.
Perché il mondo dei fan del cinema si divide esattamente in due: quelli che amano Quentin Tarantino e quelli che non lo sopportano.
E C’era una volta a Hollywood è sicuramente il film più antinomico del regista, il più divisivo, in piena tradizione. E ciò dipende soprattutto dai tanti, troppi, personalismi inseriti dal regista: i suoi amati e ispiratori spaghetti western, il cinema industria, il suo cinema, la violenza esplosiva inserita come griffe, il capovolgimento metanarrativo, perché come pochi altri, Tarantino, concepisce la potenza e la sfrontatezza dell’immaginazione, uno strumento che se usato in maniera autentica è in grado di cambiare ogni cosa, soverchiando addirittura la memoria.
Un film che i tarantiniani non possono non amare, una vera grattugiata agli zebedei per tutti gli altri.

Ma la domanda che tutti si pongono dopo aver visto C’era una volta a Hollywood è: ma di che parlava il film?

Della parabola di Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e della sua configura Cliff (Brad Pitt) che in qualche modo andrà ad incrociarsi con quella di Sharon Tate (Margot Robbie) e della Manson Family.
Poco altro.
Perché la trama è il  pretesto per raccontare tutt’altro: il Tarantino immaginario.

c'era una volta a hollywood
fonte: Auralcrave

C’era una volta a Hollywood è, infatti, la biografia artistica di un grande del cinema, un museo vivente e pulsante di memorie e fantasie avvitate irrimediabilmente attorno al suo ego.
Un prodotto che per questo motivo si trova a giocare fin troppo col divismo degli attori. Anzi, gli attori stessi diventano giocattoli da stropicciare, accartocciare, prosciugare e da cui distillare la sostanza del film.
E si va avanti così, per più di due ore e mezza. Ma quando tutto sembra risolversi in un solitario artistico, in una demolizione di un bellissimo palazzo senza fondamenta, ecco arrivare il colpo di coda, la connotazione, la lezione di vita del regista statunitense, che si trova nella parabola di Cliff: colui che si carica dei rischi in cambio di una vita precaria e in favore di un attore, Rick Dalton, che, contrariamente, gode del meglio. Quella fra Cliff e Rick non è una storia d’amicizia, ma una storia di gerarchie.

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fonte: Eppen

Davvero c’è poco altro da aggiungere. Perché C’era una volta a Hollywood è fondamentalmente un’esperienza visiva, un viaggio delle memorie e nell’intimo immaginario di un grande del cinema. Un viaggio in compagnia dei più grandi divi odierni e che non sarebbe stato concesso, con tutta questa autoreferenzialità, a tante altre personalità di Hollywood.

Enrico Ciccarelli

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