revenge porn
Fonte immagine: informareonline

«Stiamo venendo a prendervi!». Con queste parole Anonymous Italia chiude il video messo in onda lo scorso 9 aprile per lanciare #OpRevengeGram: operazione volta a contrastare, attraverso l’individuazione dei responsabili, la divulgazione di materiale pedopornografico o di contenuti ascrivibili al cosiddetto revenge porn.

L’annuncio avviene subito dopo la pubblicazione di alcune conversazioni estratte da gruppi Telegram in cui si assiste a uno scambio – gratuito o a pagamento, a seconda del materiale – di contenuti sessualmente espliciti, diffusi senza il consenso dei soggetti raffigurati: per la maggior parte, minorenni o donne e ragazze vittime della “pornovendetta”. La diffusione per vendetta di materiale erotico, compiuta il più delle volte da ex compagni o fidanzati, ha come solo scopo la “punizione” della donna, tanto virtuale quanto reale, ed infatti, a corredo delle immagini e delle minacce di stupro e morte, compaiono anche nomi e indirizzi: dati sensibili diffusi su gruppi con migliaia di iscritti. E, come se non bastasse, anche scambi di informazioni circa le droghe giuste o gli altri strumenti utili per attuare tali propositi di violenza.

Pedopornografia e revenge porn, violenza verbale che auspica quella fisica: il mercato degli orrori in cui anche i padri vendono le figlie. Un’ennesima forma di sopruso che viene accentuata dalla dimensione del digitale che sfrutta le peculiari caratteristiche di viralità e pervasività per far sì che lo stupro, la violenza verbale o gli auspici di morte si ripetano ad ogni condivisione. È l’esperienza del gruppo condotta alla sua estrema potenza.

#OpRevengeGram va, in questo modo, a supplire un enorme vuoto lasciato da istituzioni e gestori delle piattaforme individuando i nomi, gli indirizzi IP e le mail dei protagonisti di questa barbarie. Nonostante la precipitosa fuga dai gruppi Telegram individuati, alcuni dati sono già stati raccolti. Nel frattempo, Anonymous Italia invita a segnalare nuovi o vecchi gruppi Telegram o qualsiasi altro sito o social che permetta la diffusione di questi contenuti.  

Revenge Porn in Parlamento

Fa specie che, di fronte a tale scenario, a rispondere siano i “cattivi” per antonomasia: gli hacker, nella fattispecie quelli di Anonymous. Fa specie soprattutto perché, mentre loro trovano nomi e definiscono responsabilità, la classe politica italiana rimane assopita nell’inedia più aberrante, trovandosi del tutto impreparata nel contrastare un fenomeno ormai noto e tristemente diffuso.

Certo, è comprensibile che la querelle politica tra opposizione e maggioranza abbia un maggiore appeal, tanto in contesti emergenziali che di assoluta calma, e che la discussione su pedopornografia e revenge porn possa destabilizzare gli animi e creare imbarazzi in un Paese pervaso da un cieco cattolicesimo. Ma per quanto ancora si può permettere che l’Italia sia terra di nessuno per quel che attiene la sfera dei delitti sessuali, un pericoloso far west dove l’intervento è successivo solo al compimento del reato?

Una prima, timida, normazione riguardo il revenge porn è contenuta nel codice penale. L’articolo 612-ter viene infatti riformato nel 2019, in seguito all’approvazione del “Codice Rosso”, il disegno di legge fortemente voluto dall’avvocato Giulia Buongiorno, allora Ministro della Pubblica Amministrazione.

Il testo, oltre a occuparsi della violenza di genere e di atteggiamenti di molestia e di stalking, su proposta di Laura Boldrini, dedica un capitolo al revenge porn, introducendo pene più severe sia in termini di reclusione che pecuniari, non soltanto per chi diffonde in prima istanza il materiale, ma anche per chi, venutone in possesso, lo divulghi ulteriormente.

#OpRevengeGram di Anonymous
La campagna #OpRevengeGram lanciata da Anonymous
Fonte: glistatigenerali.com

Un primo importante passo, senza dubbio. Ma anche un passo giudicato “frettoloso” da molti addetti ai lavori e, pertanto, inadeguato ad esaurire la trattazione del revenge porn che, come tutte le vigliacche forme di violenza, ha gravi ripercussioni tanto psicologiche quanto, ad esempio, occupazionali, e avrebbe meritato forse una trattazione più esaustiva.

Una delle maggiori critiche ha riguardato, inoltre, la mancata individuazione di responsabilità per le piattaforme e l’inesistente coinvolgimento delle stesse nell’elaborazione di strategie in grado di bloccare anzitempo la diffusione di questi contenuti e la possibilità di eliminarli in tempi brevi. Ma, al di là di quello legislativo, anche l’intervento culturale risulta tuttora monco, incompleto, quando sarebbe auspicabile, forse, intervenire sulla narrazione del revenge porn e della violenza di genere attraverso gli strumenti digitali.

Reale e virtuale: un inarrestabile ciclo

Alla solo apparente irrealtà o vacuità di tale tipo di violenza – fatta di chat, gruppi Telegram e altri canali social – devono necessariamente opporsi la certezza e la tangibilità delle condanne e delle pene, che non possono dipendere dall’intervento di Anonymous. Allo stesso modo, è necessario provvedere ad una rimodulazione della narrazione su questo tipo di violenza che, al momento, stigmatizza le involontarie protagoniste, trascinandole in un ulteriore vortice dell’orrore dove i confini dei ruoli di vittima e colpevole diventano sbiaditi e quasi si annullano.

La narrazione influenza, e viene influenzata, dal sistema valoriale e culturale nel quale ci si trova. Ed è, conseguentemente, la narrazione stessa a determinare il confine tra cosa mostrare e cosa nascondere, chi accusare e chi proteggere. Perché sono nella maggior parte donne quelle ad essere vittima di violenza e molestie sessuali? Perché non vengono diffuse (o, quando ciò avviene, in percentuale molto inferiore) foto di uomini?

Perché, nel vigente sistema culturale – e dunque nella narrazione – un uomo non può essere vittima di violenza e la sua possibile promiscuità sessuale lo caratterizza come un playboy, un tipo macho, invidiabile agli occhi degli altri uomini. Per la donna è tutto diverso: lei deve vergognarsi della sua sessualità e, in caso di molestie o episodi di violenza, non lamentarsi troppo delle conseguenze, perché sicuramente, in un modo o nell’altro, se l’è cercata.

Questa narrazione è, in tutta evidenza, un limite ingiusto per ambo i sessi. Lasciare immutato lo stato delle cose, non preoccuparsi di adottare con la dovuta serietà quanto necessario per affrontare una questione che configura conseguenze estremamente gravi può significare solo una cosa: che, dopotutto, va bene così.

La responsabilità del tacere e responsabilità dell’incoraggiare

La politica, inoltre, ha una sua netta responsabilità non soltanto nell’accezione negativa dell’incapacità di produrre normative in grado di punire efficacemente i fautori del revenge porn, ma anche una precisa responsabilità nel fomentare una certa narrativa, nel dare adito a una visione sempre più fallocentrica, poco femminista e ultracattolica del mondo che, instancabilmente, ripropone il paradigma secondo cui le donne non sono poi così diverse dagli oggetti.

La politica tace e incoraggia.

Non è necessario ricercare le occorrenze esplicite nei discorsi dei politici più esposti per averne conferma: questa passività, questo “lasciapassare istituzionale” di fatto, e l’assenza di qualsivoglia mezzo oppositivo ad esso, alimenta una violenza sdoganata sine iuris, nel linguaggio e nei comportamenti, determinando l’abbrutimento di una società che coltiva la discriminazione e promuove la violenza verso l’oggetto della stessa. Portare su un palco una bambola gonfiabile dicendo “questa è una sosia della Boldrini” ne è un chiaro esempio. Invertire questa tendenza è, adesso più che mai, una necessità. O speriamo che ci siano sempre gli Anonymous a fare le veci dello Stato?

Edda Guerra

Classe 1993, sinestetica alla continua ricerca di Bellezza. Determinata e curiosa femminista, con una perversa adorazione per Oriana Fallaci e Ivan Zaytsev, credo fermamente negli esseri umani. Solitamente sono felice quando sono vicino al mare, quando ho ragione o quando mi parlano di politica, teatro e cinema.

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