Kamel Daoud, scrittore e giornalista algerino e autore del romanzo ”Il caso Mersault”, in un recente articolo pubblicato dal New York Times dal titolo “Saudi Arabia, an ISIS That Has Made It” ha evidenziato rapporti e analogie tra lo Stato Islamico e l’Arabia Saudita.
Nel suo articolo Daoud ha fatto notare che il wahabismo, versione dell’islam ultrapuritana legittimata, diffusa e predicata in Arabia è la stessa corrente di cui si nutre l’Isis. Il movimento radicale messianico wahabista, nato nel diciottesimo secolo, costituisce una forma estremamente rigida di Islam sunnita e insiste su un’interpretazione letteralista del Corano che si traduce con rapporti assurdi con le donne e i non musulmani, in una legge religiosa intransigente e in una morbosa anti-idolatria.
Le nuove generazioni estremiste, a detta di Daoud, non sono nate jihadiste, ma sono state persuase dalla Fatwa valley, ossia di una sorte di Vaticano islamista dotato di teologi, leggi religiose, libri e politiche editoriali e mediatiche aggressive. Il clero saudita e canali televisivi islamisti come Echourouk e Iqra hanno imposto alla società e in particolare alle sue fasce più deboli ( famiglie, donne e ambienti rurali) una visione unica del mondo, della tradizione e dell’abbigliamento.
Nei giornali islamisti l’Occidente è presentato come il luogo ”dei paesi empi” e il recente attentato di Parigi è la conseguenza degli attacchi all’Islam. La questione palestinese, la distruzione dell’Iraq e il ricordo delle precedenti colonializzazioni sono alcuni degli argomenti prediletti dai jihadisti per muovere le masse.
Il paradosso è questo: mentre il wahabismo e l’estremismo si insinuano nelle mente dei cittadini, i paesi teocrati come l’Arabia presentano le loro condoglianze alla Francia e denunciano un crimine contro l’umanità. Secondo Daoud è totalmente insensato che i paesi occidentali combattano il terrorismo e allo stesso tempo siano alleati con l’Arabia Saudita, paese che gli offre un credo e delle convinzioni.
Per vincere la guerra bisognerebbe prendere di mira non solo l’effetto, ma anche la causa. L’Isis è innanzitutto una cultura e una corrente di pensiero e per sconfiggerla bisogna arginare la Fatwa valley. Sterminare tutti i militanti dell’Isis serve a poco in quanto questi rinasceranno nelle prossime generazioni. La coalizione anti Isis potrà pure vincere delle battaglie, ma se questo concetto non verrà appreso la guerrà, ahimè, sarà persa.
Vincenzo Nicoletti