Una certezza, almeno, che è bene esplicitare subito: il Movimento 5 Stelle è sicuramente contro la TAV Torino-Lione. Lo è convintamente, forse oggi ancora più di ieri, a giudicare dalla malcelata fretta con cui deputati e portavoce si affannano a ricordarcelo – come si fa con le cose non ovvie. Lo è quasi in maniera ormonale: «Perché siamo contro le opere inutili e non a prescindere contro l’Alta Velocità», ha ricordato in una diretta Facebook Di Maio. Lo è, soprattutto, storicamente: il M5S è nato No TAV.
Era No TAV nei giorni del Vaffa Day e quando nascevano le prime liste “Amici di Beppe Grillo”. In Piemonte ottenne i primi successi alle amministrative del 2010, quando ancora non ci credeva nessuno. E ancora alle ultime politiche del marzo 2018 – quelle dove ha sfondato al Sud ma ha faticato, e non poco, nel profondo Nord – raggiungeva percentuali bulgare in Val Susa, con oltre il 40% a Susa.
La TAV non come M5S, ma come Governo
Da allora, il buio: un crollo drastico di consensi alle Europee dello scorso maggio, certo – anche e significativamente nella Valle –, tutto a vantaggio della Lega. Fino ad accettare di fare la tanto odiata TAV, non come Movimento ma come Governo di cui si fa parte, che è la stessa cosa. Ma il dato politico che rileva e che continua clamorosamente a emergere è la totale e manifesta insipienza politica dell’attuale classe dirigente dei Cinque Stelle, con Salvini che continua imperterrito a essere il vero e incontrastato dominus del Governo giallo-verde.
216 contro 125 leghisti: maggioranza in Parlamento e di Governo, ma minoranza di fatto. Non solo idealmente e mediaticamente, dove i grillini – si potrà dire, per difetti solo comunicativi – sono stati divorati dagli alleati, ma sul campo della più genuina e fredda realtà pratica, dove tradimenti e voltafaccia si fa quasi fatica a contarli: il gasdotto salentino TAP (“se andiamo al governo in 15 giorni lo fermiamo“), l’ex-ILVA di Taranto (ora Arcelor Mittal), la questione ponte Morandi e Alitalia, il salvataggio di Salvini sul caso Diciotti. Per ultimo, recentissimo, il superamento del vincolo del secondo mandato, altra battaglia storica del V-Day del 2007.
Cambiare idea è segno di intelligenza, certo. Ma delle due una: o si sta sbagliando clamorosamente ora o in passato si è parlato, e ci si è fatti votare, su idee e programmi su cui in realtà si sapeva molto poco, al di là dei bei proclami ora vagamente progressisti, ora vagamente ambientalisti, ora vagamente nazionalisti. In definitiva, vaghi. Benvenuta realtà.
La TAV zero, o il paradosso di Di Maio
Può il M5S, un partito di Governo, essere messo in minoranza dal Governo stesso senza che questo cada e si vada a votare? Si può contemporaneamente non volere fortemente qualcosa, ma fare tutto il possibile per farla succedere? Sembra un paradosso, e in effetti lo è. Ma è anche una situazione mai come adesso molto plausibile.
Il presidente Conte, che non è mai stato un primus inter pares – qualche volta po’ grillino, quella dopo un po’ leghista (per espiare la colpa di essere di quelli là), mai davvero vertice di Governo – il 24 luglio ha confermato il sì alla TAV alla Camera dei Deputati, rispondendo a un’interrogazione parlamentare del capogruppo leghista Riccardo Molinari (la si può ascoltare qui, a partire da 1:11:20).
In un discorso dal tono conciliante e diplomatico, ha da subito riconosciuto l’impossibilità di tenere assieme “sensibilità così diverse” tra le forze di Governo, così come ha riconosciuto di aver cambiato idea rispetto alle sue iniziali perplessità “anche personali” sull’opera.
Sulle motivazioni della scelta, Conte ha spiegato che l’elemento decisivo è stato la ferma volontà della Francia di continuare: «Quando si ha a che fare con accordi internazionali già ratificati dai Parlamenti dei due Paesi, si hanno due strade per il venir meno della precedente intesa: o si raggiunge un nuovo accordo bilaterale – strada che ho perseguito fino alla fine invano – o si procede in maniera unilaterale contro, strada che necessiterebbe di un passaggio parlamentare […]. In attesa di un eventuale pronunciamento del Parlamento, il Governo non potrà sottrarsi agli adempimenti necessari per il corretto proseguimento dell’iter».
Tradotto: la TAV si fa, ma se proprio qualcuno non la vuole si può votare in Parlamento, dove la stragrande maggioranza certificherebbe comunque che l’opera, in ogni caso, si fa. In uno scenario del genere il M5S si umilierebbe a votare contro il suo stesso Governo, così come, in maniera inutilmente pedante, i parlamentari grillini nella successiva interrogazione di Conte – significativamente chiamato a rispondere sui rapporti tra Salvini e Savoini in quel di Mosca – sono usciti dall’aula in segno di protesta. A memoria, si fa davvero fatica a ricordare nella storia repubblicana un partito di Governo che esce dall’aula quando a parlare è il suo stesso Presidente del Consiglio.
Chi di lotta, e chi di governo
Lungi dal profetizzare la fine del M5S, resta da chiedersi quale sarà il suo prossimo, immediato futuro, diviso com’è tra esigenza di andare avanti a qualsiasi costo – per continuare con il programma del reddito di cittadinanza e sperare che prima o poi elettoralmente paghi – e necessità invece di tornare all’opposizione, per tentare di recuperare i voti perduti.
Ad essere certamente di lotta è, invece, il futuro del movimento No TAV, che in un comunicato ha fatto sapere che, per loro, non cambia nulla: “È dal 2001 che risentiamo le solite parole da parte dei vari presidenti del Consiglio, e quelle oggi di Conte, anche se condite dalla responsabilità del padre di famiglia, non sono altro che la solita dichiarazione di chi cambia tutto per non cambiare niente. […] Noi invece sapremo sempre cosa fare, proseguendo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile ed imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo Paese, che siamo convinti, sta con noi.“
Al di là di come la si pensi, le battaglie politiche locali, prima sposate, usate per fini elettorali e poi totalmente abbandonate dal M5S sono diventate troppe, e con loro le cocenti delusioni di quanti ci credevano davvero. Parimenti, resta da definirsi la fondamentale partita delle autonomie regionali, e anche lì i depositari della fiducia dell’intero Sud fanno fatica a scostarsi dalle pericolose e secessioniste posizioni della Lega, ancora a trazione nordista.
Ciò coincide con gli interessi del Sud? Votare ieri Di Maio coincideva con la lotta No TAV, con gli interessi dei tarantini, dei No TAP, eccetera eccetera eccetera? Almeno, oggi il quadro è più chiaro di ieri. Il M5S nel tunnel della Torino-Lione rischia di restarci e, di nuovo, benvenuta realtà.
Antonio Acernese