Blanco, violenza sessuale
Fonte: Radio Kiss Kiss

Qualche giorno fa in Piazza Duomo a Milano si è tenuto il concerto di Radio Italia Live, moltissimə lə artistə coinvoltə nell’evento, tra cui anche Blanco, protagonista di un video che nei giorni scorsi è circolato sul web.

Il video in questione ritrae Blanco mentre canta in Piazza Duomo e a catturare l’attenzione è la mano di una fan visibilmente poggiata sui genitali del cantante. Il video è circolato sui social, generando opinioni discordanti in merito all’accaduto, la cui sola la presenza denuncia che ancora una volta una violenza non viene percepita come tale, ma sminuita e ridotta a goliardata.

Anche nel caso di Blanco, la solita retorica becera e legittimante viene portata avanti, ma attraverso prospettive e filoni narrativi diversi, perché questa volta chi subisce la violenza è un uomo, con tutte le implicazioni possibili. Il modello binario dominante differenzia la violenza, in questo caso violenza sessuale, e ne codifica la percezione sociale in base al genere della persona che la subisce. Perché se una persona socializzata come donna non viene creduta, le sue percezioni non vengono legittimate, ma, al contrario, sminuite; una persona socializzata come uomo, quando subisce un qualsiasi tipo di abuso, sta venendo meno al tacito patto con la società patriarcale.

Quell’accordo sociale implicito che lo prevede come dominatore, costantemente in preda ai suoi istinti e asservito al desiderio sessuale in qualche modo viene infranto. Perché, in fondo, un uomo è giustificato solo quando è lui stesso artefice di azioni violente.

L’impatto sull’opinione pubblica di qualsiasi tipo di violenza e, quindi, anche quella subita da Blanco, è filtrato dai modelli antropologici socialmente previsti e richiesti e dagli stereotipi culturali dominanti. Sono questi ultimi, infatti, a veicolare le reazioni generate da episodi di questo tipo. Ma quando la risposta collettiva getta in zone d’ombra atti violenti e percepisce come opinabile un reato previsto dal Codice penale, è di vitale importanza ribadire che una violenza è una violenza, che sia percepita come tale dalla parte lesa o meno.
L’Articolo 609-bis (Violenza sessuale) del Codice penale dice: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.

Qualsiasi atto sessuale deve essere necessariamente mediato dal consenso, le parti coinvolte in ogni caso devono esplicitare consensualità, altrimenti si tratta di violenza sessuale ed è un reato sanzionato dal Codice penale. La parte lesa conserva la libertà di reagire nel modo più coerente con le proprie percezioni personali, ma ciò non attenua l’azione violenta, né tantomeno la giustifica o legittima.

D’altro canto, riconoscere che si tratti di un uomo a subire una violenza sessuale è un evento imprevisto, che turba l’andamento preimpostato nell’immaginario. Lo squilibrio di potere e le azioni violente, derivanti dalla presenza costante di una parte dominante e una dominata, sono un elemento ricorrente nella società patriarcale, ma se la parte dominante non è l’uomo, si viene a creare un’alterazione del sistema che lo fa andare in tilt. Il riconoscimento pubblico della violenza subita da Blanco comporta una ridiscussione di una delle fondamenta dell’identità maschile. Il modello occidentale di mascolinità bianca abile è costruito in funzione di una prospettiva fallocentrica, che riconosce l’irrefrenabile desiderio sessuale come alla base dell’identità del maschio alfa. Il desiderio maschile è un tratto costante, predominante e legittimante di alcune azioni compiute e subite. La fantomatica retorica del boys will be boys, si incastra in quella narrazione deumanizzante che riconduce gli uomini alla costante necessità di saziare il desiderio sessuale in ogni momento e in ogni modo.

Le conseguenze di questo tipo di narrazione sono dannose per tuttə perché legittimano e giustificano le azioni di violenza sessuale compiute dagli uomini e impediscono loro, allo stesso tempo, di riconoscerle quando le subiscono.

Giuseppina Pirozzi



Giuseppina Pirozzi
Se potessi, scriverei per sempre senza fermarmi neanche un istante. Ogni momento è perduto nel fluire continuo e incessante dell’esistenza, se non è cristallizzato dall’inchiostro alleato sul quel foglio innocente che accoglie le speranze e i sogni mancati, ed io forse ho perso un bel po’ di cose da quando son nata, ma la penna è la mia spada e il foglio è il mio scudo, insieme le mie battaglie le abbiam vinte tutte. Mi chiamo Giusy e ho 21 anni, amo la letteratura, la poesia, la primavera e i sorrisi degli sconosciuti che ti colorano le giornate un po’ grigie.

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