Tremolii irrefrenabili, respiri mozzati, battiti che si inerpicano lungo la gola per tuonare assordanti nel cervello: la paura non dà scampo e, quando arriva, viaggia più veloce del corpo, lo attraversa senza più lasciarlo. Lo sanno bene i protagonisti di Kasamaan – L’istinto oltre la ragione, la nuova raccolta di racconti horror nati dalla penna di Mario Volpe.
Pubblicato da Drawup edizioni all’interno della collana ‘Rosso e nero’, il volume è il frutto di un intrecciarsi di storie — quindici, per l’esattezza — intrise di sangue e follia, rivolte certamente agli amanti del genere e, soprattutto, a coloro che sono alla ricerca di un brivido che sappia lasciare il segno. Mario, autore di numerose raccolte poetiche, sperimenta con questo testo una nuova strada, intrapresa mediante le letture di Edgar Allan Poe e Sthepen King, sue fonti di ispirazione sia a livello contenutistico che stilistico; lo scrittore pomiglianese non rinuncia però a percorrere quei sentieri da lui già ampiamente setacciati: non manca la poesia che, ben incastonata tra un racconto e l’altro, preannuncia la tensione che andrà a pervadere pagine nelle quali il nero prevale nettamente sul bianco.
Il titolo, Kasamaan, è nuovamente un rimando al mondo orientale, tanto caro all’autore de L’anno del dragone: il termine, derivante dalla lingua filippina Tagalog, significa ‘maligno’. Maligno inteso come tutto ciò che impaurisce l’uomo e che proviene dall’uomo stesso.
Sarà proprio la paura, vera protagonista e fil rouge dei vari racconti, a rendere labili ed evanescenti i confini tra l’aberrante e il normale: ben scandagliata da Mario Volpe, essa guida i personaggi – e pure i lettori — verso epiloghi angoscianti ai quali si giunge mediante una narrazione veloce ed avvincente che, soltanto alla fine, ricuce lo squarcio nell’irreale o lacera la tela dei sogni per condurci fuori dal tunnel degli incubi.
Esseri mostruosi, bestie raccapriccianti, donne di religione dalle coscienze macchiate da abominevoli peccati si agitano sullo sfondo di luoghi a noi familiari, come case, hotel, giardini, ospedali; più reali di quanto possano sembrare, essi non solo altro che lo specchio delle nostre deformità interiori, quelle contro le quali ci dimeniamo con vigore e, per lo più, invano: le pulsioni che hanno origine nell’inconscio trovano la loro fine in esso, fine che coincide con la morte, onnipresente in Kasamaan come una sorta di spettro che si palesa ora sottoforma di cannibalismo, poi come devastante malattia o terrificante necrofilia.
Tutto appare inspiegabile e neppure l’unico uomo di scienze che compare nel testo è capace di descrivere razionalmente quel che accade dinnanzi ai suoi occhi: chiara dimostrazione, questa, che siamo esseri complicati e che quel che ci appartiene, che vive dentro di noi, ci lascia sconcertati tanto quanto, o forse più, di qualsiasi portentoso evento.
Anna Gilda Scafaro