Per usare una metafora calcistica, il Coronavirus è intervenuto a gamba tesa sul mondo del calcio proprio come un ruvido vecchio stopper d’annata sul più pericoloso dei centravanti. Le conseguenze del Covid-19 su questo sport, però, non si limitano a ciò che attiene al rettangolo verde, e a tutto ciò che ne consegue, ma vanno ben al di là delle sue dinamiche classiche. Nello specifico, la gestione dei tamponi rischia di creare un reale divario sociale di cui in questo momento faremmo volentieri a meno.
Nelle ultime settimane si sono succedute numerose notizie circa la positività al virus di calciatori di diverse squadre di calcio. Dal primo caso rappresentato dalla Pianese (società toscana della Lega Pro), ai più famosi casi dei vari giocatori della Sampdoria e della Fiorentina, di Sportiello dell’Atalanta, di Rugani e Matuidi della Juventus e, infine, di Paulo Dybala e della fidanzata Oriana.
Detto ciò, a suscitare clamore non è stata (ovviamente) tanto la positività degli atleti, quanto – piuttosto – il numero dei tamponi cui sono stati sottoposti i calciatori, rispetto a quelli previsti per la “gente comune” e, soprattutto, per medici, infermieri ed operatori sanitari, che operano in prima linea contro il virus.
Visto, quindi, che i tamponi in Italia sono previsti solo per i sintomatici e per chi è stato in contatto con persone positive, e considerato il numero dei tamponi effettuati sui calciatori, il dubbio sulla presenza di una qualche forma di disparità di trattamento è quantomeno legittimo.
Importante, quindi, la dialettica che si è sviluppata sull’argomento e che ha visto l’intervento di diversi personaggi famosi, i quali si sono resi protagonisti di una vera e propria alzata di scudi a favore della collettività, che sembrerebbe esclusa dalla possibilità di accedere facilmente ai tamponi, diversamente da quanto accade con gli sportivi.
Selvaggia Lucarelli, per esempio, non ha lesinato nel definire quella concessa ai calciatori una “corsia preferenziale“, evidenziando l’ingiustizia sociale di cui le società calcistiche sono senza dubbio parti privilegiate. Importante, quindi, è l’esigenza di chiarezza sulla vicenda in quanto il fatto – così come descritto – fa pensare davvero ad un percorso speciale, dedicato a pochi privilegiati, cosa che andrebbe a ledere i principi di giustizia ed equità sociale a fondamento del modus operandi del Servizio Sanitario Nazionale.
Che, poi, le perplessità sulla questione aumentano se si pensa che, come detto, medici, infermieri, operatori sanitari e volontari, che combattono contro il virus in prima linea, non sembrano godere di questi “benefici”. Se a tale vicenda si aggiunge la facilità con cui diversi calciatori hanno potuto raggiungere i propri Paesi nonostante le restrizioni date dal Governo italiano, si capisce bene quanto il mondo del calcio sia stato negativamente colpito dal Coronavirus.
Sembrano, quindi, necessarie delle prese di posizioni nette e chiarificatrici sul punto che conferiscano al calcio una dimensione più umana e più vicina alla sua gente. Urge, in estrema sintesi, che il calcio, da buon centravanti, eviti con un bel dribbling l’intervento del duro stopper “Coronavirus” e torni a far gol per la propria gente.
Fonte immagine in evidenza: avvenire.it
Salvatore Fiori