Tra le strade silenziose di una Roma rischiarata dalle prime luci dell’alba, lontano da occhi indiscreti, un gruppo di uomini e donne incappucciati tentano di risanare le ferite di una Capitale ormai in declino. Sono i GAP, Gruppi Artigiani di Pronto intervento. Un gruppo di impiegati e liberi professionisti che, stanco di aspettare i lunghi e deleteri tempi dell’amministrazione territoriale, ha deciso di indossare abiti da lavoro e praticare piccoli interventi di manutenzione nella Città Eterna.
Ma cosa fanno in concreto gli uomini e le donne dei GAP? Raccolgono rifiuti, puliscono le strade, riparano le buche di Roma. Sì, perché di fronte alla contemplazione estasiante delle bellezza romane, si assiste ogni giorno al disfacimento morale e materiale, al fetore dei rifiuti, alla vista di autobus in fiamme, a voragini che compaiono improvvisamente sul manto stradale.
Cacciavite e martello, firmato GAP
È il segno lasciato accanto a ogni aggiustatura dal gruppo che opera nella clandestinità, i GAP. Un tratto che deve essere riconosciuto e riconoscibile perché nonostante operi all’ombra l’intento è di mostrare ai più una realtà altra, di stimolare la coscienza delle mancanze e sensibilizzare i cittadini alla risolutezza. Un gruppo che invita all’azione, come si legge sui volantini che lasciano: “GAP è una organizzazione segreta che invece di condurre azioni di sabotaggio, ripara laddove la burocrazia fallisce. Individua il tuo obiettivo, organizza e ripara: diventa tu stesso un gappista!”.
Le azioni dei militanti GAP non vogliono essere un attacco all’amministrazione pentastellata perché tutte le parti che hanno gestito la Capitale sono responsabili, confessa uno dei membri a un giornalista del The Guardian che lo intervista.
Flebili voci di resistenza a Roma
Resistenti furono i Gruppi d’Azione Patriottica che lottarono contro i tedeschi e i fascisti. È a loro che la gang clandestina, i GAP, si ispira: ai padri e ai nonni, a una storia che è stata e che può reinventarsi in altre forme, un modo per onorarne la memoria. Anche se il pericolo che si corre non è lo stesso, anche se il modo di operare, l’organizzazione, la struttura sono differenti. È una forma di resistenza più mite perché non impugna armi violente. Una forma di associazione che non delega ma che sperimenta dal basso. Una nuova forma di vita partecipata che per quanto nobile trascina dietro di sé il fardello dell’illegalità.
Non perché amassi la Legge di meno, ma perché amavo Roma di più
Era dicembre 2018, nella scuola Principe di Piemonte di Roma non funzionava da tempo la fontana, costruzione degli anni ’40. I GAP hanno agito di notte per ripararla entrando nella scuola senza autorizzazione. Hanno anche ridipinto un passaggio pedonale bloccando una via senza permesso, e buttato, lo scorso 16 aprile, sabbia e cemento in una strada del quartiere ostiense della Capitale per tappare una buca che si riempiva di acqua ogni qualvolta pioveva. Sono state violate regole, bloccate strade, commesse inflazioni.
Ci sono cose che non vanno nella Capitale
Ci sono le buche, là dove c’erano i san pietrini ci sono rattoppi di cemento selvaggio, quando ci sono.
A sopperire le mancanze altrui ci pensano questi volontari che operano, non per dovere, ma per senso del dovere. I GAP corrono il rischio di essere sanzionati ma continuano ad agire all’alba incappucciati, sapendo di essere clandestini. In nome di un amore, quello nutrito per la propria città, nel tentativo di rendere vivibili i vicoli, le strade e i quartieri di Roma.
Alba Dalù