La FIGC sarà, ancora una volta, oggetto di un Commissariamento. Come se non bastasse Calciopoli 2006, l’eliminazione ai gironi con Nuova Zelanda, Paraguay e Slovacchia ai Mondiali 2010, seguita dalla eliminazione contro Uruguay e Costa Rica ai Mondiali del 2014 e, infine, la recente mancata qualificazione ai Mondiali 2018, un’altra pagina buia del nostro calcio è stata scritta il 29 gennaio 2018: le componenti federali della FIGC, chiamate ad eleggere il nuovo presidente, non sono state in grado di convergere su nessuno dei tre candidati presentatisi per occupare la posizione lasciata vacante dalla, a dir poco, disastrosa gestione di Carlo Tavecchio.
Dopo il 13 novembre 2017, giorno del pareggio interno contro la Svezia, costata agli azzurri la partecipazione ai Mondiali in Russia, a margine delle innumerevoli e giustificate polemiche che un’intera popolazione rivolgeva alla Federazione Italiana Giuoco Calcio e al CONI, e che avevano portato alle ineccepibili dimissioni di Tavecchio, ci si aspettava una risposta forte da parte degli organi istituzionali del calcio italiano. Si era parlato di una necessità di rifondazione del sistema calcistico, di un bisogno di riformare i vivai e investire nelle strutture sportive, di potenziare il livello dei campionati e dei talenti interni, di costruire una Nazionale che tornasse ad essere competitiva, come lo è sempre stata. Questa risposta, a più di due mesi di distanza, non è arrivata. Dopo un mare di chiacchiere ciò che si è ottenuto, e anche con fatica, sono le dimissioni di un uomo che ha fatto della propria gestione della federazione un fallimento totale e con il quale si è raggiunto il punto più basso nella storia della nostra Nazionale.
Ebbene, quando poi lo stesso uomo da tutti attaccato e colpevolizzato fino a pochi mesi fa, viene accolto all’assemblea indetta per l’elezione del suo successore come un martire a cui si pensa bene, per giunta, di dedicare una standing ovation, allora ci si rende conto che il Calcio italiano e il mondo istituzionale che lo circonda hanno veramente qualcosa che non va. È questo l’episodio che fa da preludio a quanto di orripilante accaduto successivamente all’Hotel Hilton di Roma nella giornata del 29 gennaio scorso.
I tre candidati alla Presidenza – Sibilla, Gravina e Tommasi – si presentano all’appuntamento forti delle proprie consapevolezze: sanno di avere un bagaglio di voti su cui possono contare, ma sono altrettanto consapevoli della forte probabilità di dover trovare un accordo tra di loro dopo che la prima votazione avrà determinato il mancato raggiungimento del 75% (quota prevista per l’elezione al primo turno). È proprio dopo il primo turno che l’inconcludenza e l’incapacità gestionale della FIGC emerge nella sua integrità: dopo che nessuno dei candidati aveva raggiunto il magic number, si cercano accordi, si svolgono riunioni improvvise e segrete organizzate nei bagni dell’Hotel, si cercano scambi di poltrone e di favori. Il tutto per un nulla di fatto, cosicché anche nel secondo e nel terzo turno (dove il candidato avrebbe dovuto raggiungere il 66% ed il 50% +1, rispettivamente) la FIGC è incapace di eleggere un suo presidente, e tutto ciò perché le richieste avanzate in cambio dell’appoggio alla poltrona di presidente hanno un costo troppo alto.
Di fronte a questo raccapricciante scenario, l’unico dettaglio meritevole di apprezzamento è la coerenza di Damiano Tommasi che, pur essendo consapevole della sua debolezza in termini di voti, ha deciso di proseguire da solo senza scendere a compromessi con nessuno dei candidati, indicando ai delegati della sua associazione di votare scheda bianca nel ballottaggio finale. In effetti il Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, in quanto unica figura avulsa dal sistema di potere occulto insito nella Federazione e nella Lega di Serie A, appariva come serio candidato su cui si poter contare ai fini di un vero rinnovamento del nostro calcio. La sua giovane età, la sua pregressa esperienza sui campi di calcio ed il suo noto impegno per il sociale avrebbero potuto essere di grande aiuto per la rifondazione del sistema calcistico interno, specie se si pensa che i suoi sfidanti, che tanto parlano di “rinnovamento”, hanno già alle spalle una lunga ed inconcludente carriera da dirigenti sportivi all’interno delle varie Federazioni.
Tuttavia, ci viene da pensare che, in fondo, qualcuno abbia sempre desiderato lo scenario del Commissariamento, in quanto non ha mai ritenuto i tre candidati all’altezza del compito che gli si stava assegnando, o semplicemente, perché ha ritenuto di dover gestire in prima persona la vicenda. E qualcosa ci fa pensare che di questo avviso sia stato soprattutto il presidente del CONI, Giovanni Malagò, a cui adesso passerà, inevitabilmente, la palla. Infatti, la Giunta del CONI, fissata per il 1 febbraio, provvederà a nominare un Commissario Straordinario sia per la FIGC sia per la Lega di Serie A. E, mentre per la seconda carica in questione circola il nome del Segretario Generale del CONI, Fabbricini, le probabilità che a rivestire la prima di queste due cariche sia lo stesso Malagò sono molto alte. Questo il motivo per il quale, verosimilmente, il disegno di Malagò era, senza troppi mezzi giri di parole, quello di mettersi all’apice del Calcio Italiano. Chiaramente, il tutto avverrà con l’ausilio del Ministro dello Sport e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sotto la cui sorveglianza il Coni, come ente pubblico, è posto. A conferma di un diretto coinvolgimento del Ministero, nelle ultime ore, anche il Ministro Lotti ha ravvisato la necessità di <<riscrivere le regole da e ripartire da zero>>.
Insomma, si arriva ad una gestione centralizzata, e non più delegata, della FIGC. Una gestione totalmente politica. Non è ancora nota la durata del Commissariamento, ma il lavoro straordinario del Commissario potrà andare dai tre mesi ad un anno. Quel che è certo è che se a volere ciò è stato il Presidente del CONI in persona ai fini di una gestione diretta della problematica, adesso è da lui che ci si aspetta un intervento incisivo, riformista e, infine, efficace per il nostro calcio. In altre parole, se dal nuovo Presidente FIGC ci si aspettava molto, dal Commissario Straordinario ci si aspetta ancor di più. Oltre ad essere una sconfitta per tutti coloro che sono parte di un’organizzazione politica o sportiva che sia, in quanto segno della loro incapacità di governo, un Commissariamento sta a significare anche una significativa assunzione di responsabilità da parte di coloro che ne determinano l’attuazione.
Tanti sono gli aspetti che il nuovo Commissario dovrà curare, a partire dalla nomina del nuovo allenatore della Nazionale Italiana (si ricordi che, peraltro, Ventura continuerà a percepire lo stipendio sino al 30 giugno p.v.), passando per la riforma dei campionati e del sistema di votazione interno alla Lega di Serie A, fino ad arrivare alla assegnazione dei diritti televisivi per il prossimo triennio.
Con la speranza che il rinnovamento di cui tutti parlano non ci conduca nuovamente ai vari Tavecchio e Ventura, non ci resta che sperare di poter tornare, all’esito di questa triste parentesi, ad essere considerati un modello calcistico da esportare nel mondo.
Amedeo Polichetti