Medio Oriente: è l’espressione che nasce all’inizio del XX secolo per designare la vasta regione compresa tra la Turchia e l’impero britannico delle Indie di quel tempo, meglio conosciuto per essere la culla delle civiltà cosiddette “dimenticate”, soggette ad un processo di “occidentalizzazione” in continua evoluzione, seppur lontano dai nostri occhi.

Questa formula indica non soltanto una definizione geografica particolare, ma soprattutto un’identità culturale, politica e anche religiosa ben precisa. È impossibile parlare di Medio Oriente senza imbattersi nella solita immagine inficiata da un’infinità di stereotipi e luoghi comuni che influenzano non solo l’opinione pubblica, ma anche l’analisi dei media e lo sguardo della politica sulla realtà. L’opposizione tra Oriente e Occidente ha radici in una lunga storia di conflitti che, dai tempi delle Crociate all’era coloniale, hanno edificato barriere ideologiche che sembrano invalicabili.

Sappiamo quanto l’Islam delle origini fosse aggressivo e militante, e di fatto esso costrinse il mondo cristiano a rinchiudersi, in atteggiamento difensivo, nella sola parte occidentale dell’Europa. Sono probabilmente le dispute storiche di questi due mondi che comportano l’esigenza di attuare un processo analitico di rilettura della cultura e della società, in particolar modo di quelle mediorientali.

Innanzitutto è necessario specificare che il Medio Oriente ospita numerose comunità differenti per cultura, lingua e religione. In seguito, con la nascita di Stati singoli, esse sono state territorialmente accorpate o separate, al punto che è possibile individuare gruppi omogenei in differenti Stati. Ed è proprio la dinamica storica della nascita di determinate nazioni a delinearne i limiti. Si pensi, ad esempio, alla questione palestinese o a quegli Stati di formazione post coloniale dove il potere è nelle mani di chi attua una politica strettamente connessa agli ex colonizzatori.

È necessario specificare che oltre ad un ricco quadro storico e geopolitico, il Medio Oriente è caratterizzato da un ampio patrimonio culturale che, il più delle volte, viene completamente ignorato. La lingua in primis riveste una grande importanza in ambito culturale, rispecchiando però l’estrema frammentazione del territorio mediorentale. Da qui nasce la forma poetica islamica di cui, purtroppo, si parla ben poco. Essa si sviluppa come forma di dialogo interiore dove l’anima sale e si espone nel pensiero.

Questa espressione fu la prima forma di dialogo verbale che serviva a tramandare la conoscenza e la cultura. I popoli nomadi e seminomadi avevano bisogno di radici e da sempre hanno capito l’importanza e adottato il metodo del racconto “scenico”, la magia del monologo che a differenza del dialogo rende partecipe attraverso l’ascolto in silenzio. Tra i grandi poeti del mondo mediorientale ricordiamo Adonis, il quale fu molto attivo nel dibattito politico e filosofico del ‘900. Egli mirava ad una rinascita della cultura araba in una chiave né nazionalista né religiosa, bensì moderna e innovativa.

Allo stesso modo l’arte figurativa viene utilizzata dagli artisti del Medio Oriente per incidere sulla realtà trasformando l’esperienza dell’osservatore in azione condivisa. È il caso di Tarlan Rafiee, artista figurativa iraniana che combina la cultura tradizionale del passato con uno stile del tutto nuovo. In un’intervista afferma: «Faccio l’esatto opposto dei media; ci vogliono isolare e separare dal resto del mondo, ma noi, come artisti, siamo chiamati ad espanderlo». Mohammad Quraiqe, invece, ritrae la repressione e l’anelito di speranza che ogni cittadino della Striscia di Gaza non vuole perdere. A soli dieci anni, Mohammad ha dato una nuova valenza artistica alla parola “resilienza“.

La musica, così come la danza, sviluppatesi all’interno delle corti principesche della regione mediorientale, si ramificano in numerosi stili che incarnano l’essenza di una connessione con la natura stessa. La danza del ventre, ad esempio, con i suoi movimenti rotatori e sinuosi, richiama gli antichi culti della fertilità, come quello della “Dea Madre”. Gli uomini erano consapevoli che tutto ciò che muoveva la vita era legato alla riproduzione e alla nascita. Per questo, molti degli stili di questa danza sono legati strettamente alla femminilità e venivano praticati esclusivamente dalle donne. Con l’evoluzione, la danza inizia a essere un elemento ricorrente nella vita dell’uomo, e, oltre ad accompagnare riti di preghiera, fa da cornice a momenti di aggregazione, comunicazione e svago.

I suddetti aspetti mistici e affascinanti della cultura mediorientale vengono però in parte oscurati da principi che la realtà Occidentale guarda con occhio critico: si tratta della discussa “questione religiosa”, che si anima sul tema familiare e in particolare sulla questione di genere. Senz’altro per comprendere la situazione è necessario allontanarsi parzialmente dal tema religioso. L’indossare il velo, ad esempio, non si configura in tutti i casi come un’imposizione: in effetti molte femministe islamiche scelgono di portare l’hijab.

Bisogna dunque distinguere il desiderio di auto-affermazione dall’imposizione patriarcale. C’è da dire, inoltre, che la maggior parte dei paesi arabo-musulmani ha di fatto adottato sistemi di diritto di matrice occidentale. Ma è pur vero che in alcuni paesi islamici la sperequazione tra i sessi assume una particolare valenza proprio in virtù del fatto che, al di là del fenomeno puramente sociale e di costume, la discriminazione ha un fondamento normativo.

Insomma, proprio l’aperta ostilità Occidentale su determinati principi cardine delle civiltà mediorentali ha comportato una svolta epocale: in modo confuso e poco chiaro il mondo mediorientale è oggi alla ricerca di una sua nuova identità che in qualche modo sappia coniugare l’antico con il nuovo; con il desiderio di sbarazzarsi dell’ombra dell’egemonia Occidentale che incombe sulle cosiddette “civiltà dimenticate”, detentrici di un patrimonio culturale e storico di inestimabile valore che viene di rado apprezzato.

Mena Trotta

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