Una donna, seduta di spalle, la cui sagoma ricalca quella d’un violoncello, il cui volto è leggermente rivolto verso l’osservatore, ma non abbastanza da esibire impudicamente la sua identità; con indosso una stoffa fin troppo stringata per celare le natiche, in testa solo un turbante. Questa, la descrizione di una delle opere d’arte più famose del periodo “bohème” che avvolse Parigi agli inizi del XX secolo.
Il soggetto della foto è Alice Prin, ribattezzata come Kiki de Montparnasse, per il suo essere indiscussa protagonista della mondanità, della vita notturna dell’omonimo quartiere parigino. Modella, attrice, prostituta, pittrice, per sei lunghi e turbolenti anni, fu la compagna, nonché musa ispiratrice di una delle figure di spicco del movimento dadaista: Man Ray. All’età di soli 29 anni, pubblicò un libro, “Souvenirs”, in cui raccontava del primo incontro con l’artista, che immediatamente le propose di posare da modella per lui, ma subito intrecciarono una relazione amorosa, e “il primo pomeriggio non facemmo neanche uno scatto”.
Ernest Hemingway, nell’introduzione al suddetto libro, affermava:
“Se siete stanchi dei libri scritti dalle signore della letteratura per entrambi i sessi, questo è un libro scritto da una donna che non è mai stata una signora. Per quasi dieci anni è stata a un passo dal diventare quella che oggi sarebbe considerata una Regina, il che, naturalmente, è molto diverso dall’essere una signora”.
Con l’espressione “Le violon d’Ingres”, si era soliti designare un hobby, una passione che, nel suo realizzarsi, riusciva altrettanto bene quasi come se fosse il proprio lavoro. L’omonimo artista francese Jean Auguste Dominique Ingres, infatti, oltre a dipingere maestosamente, trasfondeva le sue velleità artistiche anche nella capacità di suonare in modo eccellente il violoncello. Ed è proprio da questo proverbiale detto che Man Ray trae spunto per consacrare due delle sue più grandi passioni: la fotografia e Kiki.
Con l’occhio dissacratore e ironico, graffiante e irrisorio, l’artista immortala il corpo sublime della giovane donna, che sembra quasi volersi celare di fronte allo sguardo indagatore dell’osservatore. La schiena, teatro chimerico che accoglie le due effe del violoncello, è mostrata quasi con invereconda spudoratezza, con sagace e mirabile impertinenza, come a voler distogliere lo spettatore dal voler dirigere lo sguardo verso il volto, che timidamente si nasconde, che vorrebbe rivelarsi, ma non lo fa. L’ironia canzonatoria, tipica del movimento dadaista, trasuda dal surrealismo onirico, istrionico, rocambolesco che si avventa, quasi, su Kiki, che, nell’opera d’arte, diviene depositaria sia dell’amore turbolento di Man Ray, quanto dell’interesse di quest’ultimo per la fotografia. Kiki è “Le violon d’Ingres”, la passione a cui non si può rinunciare, a cui ci si presta con il massimo della dedizione, la trasfigurazione del suono armonioso e soave della “Viola d’amore”, il dolce respiro di essa, è lo strumento d’amore dell’artista. Con questa celeberrima espressione, Man Ray definirà anche la sua matura inclinazione per l’arte fotografica, a cui si interesserà per tutta la vita. Egli, infatti, tenderà sempre a unire pittura e fotografia in una perfetta fusione.
“Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà «come», mentre altri di natura più curiosa si chiederanno «perché» “.
Il contesto in cui si trova la modella parigina è asettico, quasi astratto, intangibile, permeato dal minimalismo che si rinviene anche ne “La bagnante di Valpinçon”, dipinto di Ingres, a cui di ispira la suddetta opera.
“Le violon d’Ingres” è forse una delle opere d’arte che meglio dà voce al concetto di surrealismo, che si inerpica su una realtà solo illusoria, apparente che “svanisce di fronte al significato più profondo” e che trascina l’uomo in una dimensione trascendentale, assurda, meravigliosamente onirica, come Kiki de Montparnasse aveva trascinato Man Ray.
Clara Letizia Riccio