allenatori

È noto che gli allenatori siano sempre i primi, a volte gli unici, a pagare le inefficienze delle proprie squadre, e il valzer delle panchine a cui da qualche giorno stiamo assistendo ne ha dato la conferma: Gattuso, Ranieri e Spalletti sono esempi lampanti di tecnici messi da parte, vuoi per non aver raggiunto gli obiettivi prefissati – come nel caso dei primi due -, vuoi per aver conquistato con troppa fatica e sofferenza un risultato che era ampiamente alla portata, come nel caso dell’allenatore toscano. Tuttavia, oltre ad avere in comune il fatto di essere stati allontanati dalle rispettive panchine, vi è un’altra caratteristica ad unire le figure dei tre allenatori citati: l’amore incondizionato ostentato verso la propria squadra e verso i colori che essa rappresenta, circostanza non proprio usuale tra gli allenatori che oggi siedono sulle panchine dei vari club europei e che spesso vi rimangono solo perché convinti a suon di quattrini.

Tutti e tre gli allenatori hanno vissuto, nel corso della stagione, grandi momenti di difficoltà legati a diverse circostanze, eppure, hanno sempre posizionato il bene del gruppo al primo posto, ci hanno sempre messo la faccia, invocando a gran voce la necessità di sostenere la squadra. Per di più, come se ciò non bastasse, hanno continuato ad ostentare amore verso i rispettivi club anche quando i loro addii apparivano ormai scontati, essendo stati praticamente annunciati in una fase cruciale della stagione, quando erano ancora pienamente in corsa per i loro obiettivi. Tutti e tre, da signori ancor prima che allenatori, hanno difeso e valorizzato il collettivo che li circondava, facendolo sempre prevalere sull’ego di qualche singolo e si sono assunti le loro responsabilità di fronte alle continue critiche subite dai media e dall’ambiente societario interno, pronto, al primo passo falso, a remare contro e far venir meno il sostegno necessario. Qualsiasi altro tecnico, in un contesto del genere, avrebbe avuto difficoltà a proseguire ed avrebbe verosimilmente scaricato la colpa su club, calciatori e tifosi pur di evitare di subire le critiche di fine stagione. Ma loro no, sono andati fino in fondo, e di fronte ai risultati negativi hanno dimostrato che l’attaccamento alla maglia viene prima di ogni cosa, anche in un calcio governato dalle logiche societarie di profitto che spesso non tengono conto dell’importanza del legame tra allenatore e squadra.

Partiamo da Claudio Ranieri, talmente onesto e consapevole che non avrebbe allenato la Roma anche nella prossima stagione da non aver avuto problemi ad annunciare che un allenatore come Conte sarebbe stato il massimo per la capitale, e che sarebbe corso lui stesso a prenderlo all’aeroporto. Oltre a ciò, l’ex Leicester ha definitivamente dimostrato le sue caratteristiche di allenatore-tifoso quando, commuovendosi di fronte allo striscione esposto dai tifosi giallorossi in occasione della sua ultima partita, ha mostrato tutta la sua devozione verso l’ambiente romano, inchinandosi in lacrime al cospetto della curva. Ecco perché il tecnico di Testaccio, pur se alla fine non ha conquistato la qualificazione in Champions, gode tutt’oggi della stima della sua gente, che probabilmente per un allenatore è il traguardo più importante che si possa raggiungere.

Veniamo a Rino Gattuso, il milanista per eccellenza. Lui, che ha portato il Milan sul tetto d’Europa e del Mondo e che ha avuto in seguito l’onore di poterlo allenare, si è mostrato un eccellente condottiero, capace di trasmettere grinta e senso di appartenenza al gruppo come nessun altro prima. In più di una occasione ha mostrato grandi doti di gestione dello spogliatoio e ha insegnato ad alcuni giocatori ad essere uomini, ad avere rispetto per i compagni e per il gruppo, per i colori e per i tifosi, che infatti imputano alla società di aver, di fatto, indotto il tecnico calabro alle dimissioni. Ringhio, che pure ha sfiorato la qualificazione in Champions con un gruppo non certo di fenomeni, ha probabilmente pagato la mancanza di esperienza, costatagli una pressione societaria che dopo qualche mese era già diventata pesante come un macigno; tuttavia, la stessa dirigenza societaria, nell’esercitare le sue continue pressioni, non ha tenuto minimamente conto del fatto che il campione del mondo godeva della stima e del rispetto di tutto lo spogliatoio e, soprattutto, dei tifosi.

Concludiamo, infine, con Luciano Spalletti, forse colui che ha ricevuto il trattamento più duro ed immeritato dei tre allenatori, considerando che l’obiettivo minimo stagionale dell’Inter è stato, comunque, raggiunto. Indubbiamente, la qualificazione in Champions poteva essere ottenuta con molta più tranquillità ed anticipo, piuttosto che all’ultima giornata. Ma non vanno dimenticati i problemi con cui il tecnico toscano ha dovuto fare i conti: dal caso Perisic a quello Icardi, fino all’annuncio dell’imminente arrivo di Antonio Conte a poche partite dal traguardo qualificazione. La sua pur discutibile gestione dello spogliatoio e dei rapporti con la stampa non toglie che Spalletti si sia dimostrato nel corso di questi due anni, pur inaspettatamente, un vero allenatore-tifoso. Il bene dell’Inter, la necessità dell’unione dello spogliatoio, del supporto dei tifosi, la difesa della squadra, il desiderio espresso di voler rimanere a lungo su quella panchina e di voler lasciare una impronta nell’ambiente nerazzurro, erano concetti espressi ad ogni conferenza stampa come un mantra. Eppure, la società non ha tenuto conto di tutto ciò e ha preferito esonerarlo e prendere al suo posto un allenatore che, visto suo passato juventino, di feeling con l’ambiente nerazzurro ne ha ben poco.  

Insomma, il crudele destino riservato ai tre allenatori dimostra come il calcio sia in evoluzione, così come lo è l’habitat che lo circonda. I casi di Spalletti, Gattuso, Ranieri, così come quelli, a titolo esemplificativo, di De Rossi o Marchisio, dimostrano come il senso di appartenenza venga sempre di più ridimensionato e sminuito dai club. Le logiche di profitto che condizionano l’operato delle società hanno reso il mondo del calcio un ambiente spietato, all’interno del quale sembra non esserci più spazio per le bandiere e per gli allenatori tifosi, sovrastati dal peso del denaro e della insaziabile voglia dei club di vincere a qualunque costo.

Amedeo Polichetti

fonte immagine in evidenza: https://sport.virgilio.it/

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