Se qualcuno, qui, si aspetta accuse cariche d’odio e di livore nei confronti dell’influencer Chiara Biasi per via delle sue dichiarazioni mortificanti, per via del suo spregio del lavoro, per via di un pretestuoso classismo che emargina chi si spacca la schiena dieci ore al giorno a pochi spiccioli, ha atteso invano. Anzi, quelle parole che hanno indignato il web e provocato spasimi di scandalizzata lapidazione mediatica andrebbero invece celebrate, perché contengono la limpidezza dell’onestà intellettuale e la trasparenza irritata della confessione.
29 anni, 2,4 milioni di follower, l’influencer è finita vittima di uno scherzo de Le Iene dai risvolti inaspettati. «Io per 80mila euro manco mi alzo al mattino e mi pettino i capelli» è la frase incriminata, che è valsa a Chiara Biasi lo sdegno prêt-à-porter del popolo dei tweet e un bel po’ di articoli, hashtag, videocopertine. “Non c’è migliore pubblicità della cattiva pubblicità”, sosteneva Andy Warhol – uno che sapeva il fatto suo, e sta tutta qui l’essenza del polverone glitterato che sommerge vorticosamente le news e le homepage di giornata: per ogni utente indignato c’è un trend che si rafforza, per ogni insulto cieco c’è un engagement che si moltiplica, e allora di cosa stiamo parlando? Già, esattamente di cosa stiamo parlando?
Non certo della prassi rivoluzionaria di Chiara Biasi – almeno, spero. La bella e intraprendente ragazza non fa altro che perpetrare un modello incentivato da quelle stesse persone che adesso le si scagliano addosso. Certo l’uscita è stata infelice, certo poteva essere espressa meglio, ma non possiamo aspettarci dissertazioni marxiste nella prima serata di Mediaset. 80 mila euro sono una cifra che la maggior parte del volgo non guadagna in un intero anno (ma facciamo due), ma a quanto pare non sono abbastanza per convincere l’influencer a pettinarsi. Qualcuno forse lo trova indecente? Umiliante? Ingiusto? Lo è, certo che lo è. Come è ingiusto che nel tempo che voi avete impiegato finora a leggere questo articolo Lionel Messi abbia guadagnato circa 370 euro; di esempi simili ce ne sono a iosa.
Ma di nuovo: invece di reagire quasi per pudore e decenza di sé dopo una singola frase, come se fossimo stati offesi nel personale, perché non chiedersi cosa abbia consentito a Chiara Biasi di rifiutare 80 mila euro con tanta leggerezza? Probabilmente perché la risposta sarebbe complicata da elaborare e soprattutto da accettare. Che abbia deciso di sfruttare la sua immagine in questo modo, incarnando la figura professionale dell’influencer, è del resto una sua scelta libera e consapevole – my body, my choice. Che ci sia un mercato avido di belle donne in vetrina, pronte a sfoggiare ogni istante di una vita patinata di lusso e successo, è la vera conditio sine qua non saremmo neppure qui a parlare. E cosa fa il mercato? Esatto: le trentamila e oltre persone che “cuorano” ogni post di Chiara Biasi, che sono indotte al consumo dal suo product placement, che vengono soggiogate dalle sue forme scultoree, dai panorami caleidoscopici, dagli accessori raffinati che la decorano.
Per cui non c’è che verità in quelle parole, e il moralismo di retrospettiva di un certo pubblico ha i contorni dell’indignazione a comando: quella lì crede di essere meglio di me, devo assolutamente denigrarla; e poi giù di like alla prima foto in costume che ci passa davanti. Dov’è la differenza tra sfruttare un sistema a proprio vantaggio e alimentare quello stesso sistema contro cui a parole ci si scaglia? Almeno a Chiara Biasi va concesso il beneficio dell’onestà: tutti noi siamo in costante ricerca di approvazione, che i follower siano 24 o 2,4 milioni, e se la differenza la fanno i soldi allora è invidia, il che è peggio, perché vuol dire che nei suoi panni faremmo lo stesso. Con l’aggravante di un’ipocrisia che non vale 80 mila euro, non li vale di certo.
Emanuele Tanzilli