Quando mescoli i nomi di Elio, Rocco Tanica e dello Spamalot dei Monty Python la recensione del musical potrebbe ridursi ad una semplice esortazione: andate a teatro e godetevi lo spettacolo!
Ma è pur vero che al giornalista spetta il (non sempre arduo) compito di argomentare le proprie affermazioni. E allora, lesti, scorrete tosto l’articolo ché di argomentazioni, per l’appunto, ve ne fornirò a iosa.
Dando per scontato che siate consci del fatto che l’etichetta Monty Python rappresenti un vero e proprio marchio di garanzia, salterò a pie’ pari la parte in cui mi abbandono ad una lunghissima quanto superflua salmodia sul lavoro di questo storico gruppo di comici inglesi. Ergo, a questo punto dell’articolo, fate finta di aver letto un’entusiasta e fastidiosamente logorroica parte riguardante le gesta dei mitici Monty Python. Passiamo oltre e dedichiamoci alla trasposizione italiana, firmata Rocco Tanica, della commedia musicale Spamalot, tratta dal film I Monty Python (appunto) e il Sacro Graal.
Prima ancora che i drappeggi rossi del sipario si spalanchino, lo spettatore viene messo in guardia dalla voce narrante che lo spettacolo al quale sta per assistere sarà politicamente scorretto, pieno di sproloqui, di turpiloqui, un musical razzista, sessista, omofobo, classista, idrofobo, antidemocratico, antisemita, amorale e chi più ne ha, più ne metta. All’apertura del sipario il palco prende vita, uno storico fa una breve esposizione sull’Inghilterra medioevale; immediatamente irrompe sulla scena l’intero corpo di ballo in abiti, però, tipicamente scandinavi. Lo storico irritato fa notare loro di aver confuso la Bretagna con la Finlandia, i ballerini abbandonano il palcoscenico lamentandosi ed il paesaggio, prima assolato e allegro, viene sostituito da uno più cupo e tetro.
Da questo momento in poi si susseguono tutta una serie di situazioni tragicomiche, demenziali (ma, attenzione, mai stupide) e nosense tipiche della comicità controcorrente dei Monty Python e, per la proprietà transitiva, di Rocco Tanica e dello stesso Elio (e le storie tese). Monaci penitenti che si colpiscono la fronte con le Bibbie intonando cori liturgici, cavalieri che galoppano senza destriero simulando il suono degli zoccoli dei cavalli battendo tra loro due noci di cocco, strampalate creature dei boschi che si proclamano “I cavalieri del Ni” e che pretendono sacrifici o piantine fiorite (con il loro bel vaso) in cambio del lasciapassare, castelli francesi appartenenti a signori con nomi improbabili (ricordiamo Messer Fructis de Garnier) assaltati da conigli di Troia vuoti che sguinzagliano contro gli inglesi una caotica bolgia di scontatissimi luoghi comuni: ballerine di can-can, mimi e soldati napoleonici in alta uniforme.
Re Artù, interpretato magistralmente da Elio e le sue sopracciglia discrete (sotto l’attenta regia di Claudio Insegno), passa da una (dis)avventura all’altra sempre accompagnato dal suo fedele scudiero Patsy (Giuseppe Orsillo) che, all’occorrenza, funge anche da life coach (Always Look on the Bright Side of Life, canzone dei Monty Python scritta da Eric Idle che, dopo lo spettacolo, difficilmente riuscirete a togliervi dalla testa). Da rimarcare anche la bellissima Pamela Lacerenza che interpreta la Dama del lago “fighissima e depilatissima” con un’estensione vocale strabiliante e che conferisce ad Artù la nomina di Re di Camelot donandogli la leggendaria spada Excalibur. Attualissimo il dialogo tra Re Artù e i villici: due radicali politici che lo accusano di essere “un’autocrazia che si autolegittima” e che si definiscono politicamente come “un collettivo autonomo, una comune anarco-sindacalista” che rifiuta la monarchia in quanto “il potere esecutivo deriva dal voto delle masse e non da una buffonata acquatica di una baldracca marina”.
Figura controversa e ambigua (nel senso letterale del termine) il nobile Sir Lancillotto “gran figlio di mignotto”, interpretato da Thomas Santu, che nel finale si ritrova sposato con il Principe Herbert (Luigi Fiorenti). Galeotta fu la lettera e chi la scrisse, che illuse il cavaliere inducendolo a credere che ci fosse una donzella da salvare (e invece no, la donzella era un uomo). A dir poco impeccabile l’interpretazione di Sir Galahad da parte di Andrea Spina che col suo “bellissimo shatush” contribuisce a completare la schiera di cavalieri della tavola rotondissima. Con un sorprendente anacronismo rispetto all’ambientazione storica: ogni balletto di Spamalot è strutturato secondo il modello dei musical di Broadway, con tanto di componente ebreo, indispensabile (a quanto pare) per ottenere successo (“dubbi non ne avrei, non puoi fare un musical se ti mancano gli ebrei”, e ancora “se non c’è umorismo kosher, avrai critiche un po’ flosce”).
Come ogni favola che si rispetti, Spamalot si conclude con la celebrazione di un matrimonio, stavolta di Re Artù che prende in sposa la Dama del Lago e con il ritrovamento (ma non vi specificherò dove) del Sacro Graal la cui ricerca era stata affidata così, su due piedi (se andrete a vedere lo spettacolo capirete la battuta), ai cavalieri della tavola rotondissima da Dio stesso.
Un applauso virtuale merita tutto il cast dello spettacolo, quindi eccovi una bella carrellata di nomi che vanno ad unirsi a quelli già citati e che farete bene a ricordare: Umberto Noto, Giuseppe Orsillo, Filippo Musenga, Michela Delle Chiaie, Greta Disabato, Federica Laganà, Maria Carlotta Noè, Simone De Rose, Daniele Romano, Alfredo Simeone e Giovanni Zummo.
Credo che a questo punto il mio lavoro possa dirsi concluso, le argomentazioni fornite sono più che sufficienti per convincervi a non perdere l’ottava meraviglia di Rocco Tanica. Un ultimissimo consiglio: se ci riuscite, scegliete i posti in prima fila, alla fine dello spettacolo capirete perché e probabilmente mi ringrazierete per la dritta. Orsù madame e messeri, non indugiate oltre su questo articolo, andate a teatro e godetevi lo spettacolo!
Sara Cerreto
Assurdo che non si nomini gli attori e la regia… ebbene si, è il regista che lo chiede: Vi prego!!! Se siete giornalisti è quasi obbligatorio scrivere nel BENE e nel MALE di chi è la regia è chi sono i protagonisti! Non solo il protagonista è il traduttore famoso.
Ciao Claudio, mi spiace è stato un errore mio. Gli attori sono stati nominati (e non solo quelli famosi), non ho elencato tutti (incluso il corpo di ballo) perché, piuttosto che scrivere tutti i nomi uno di seguito all’altro e trasformare il tutto in un elenco asettico, ho preferito concentrarmi su quelli che sono riuscita a riconoscere e a fotografare per bene. Ma, hai ragione. Il fatto di non averli nominati non significa ovviamente che siano meno importanti. I Monty Pyton credevano nell’uguaglianza e scrivevano i loro nomi semplicemente in ordine alfabetico per evitare che chiunque potesse primeggiare o apparire più famoso agli occhi del pubblico. Credo che voi per primi avete voluto puntare tutto su Elio e Rocco Tanica (giustamente). Ad ogni modo, la mia è una recensione realmente entusiasta, ma devo farti i complimenti per essere riuscito a trovare l’unico pelo nell’uovo. Chapeau!
(Correggo subito, comunque. E grazie per avermelo fatto notare)