L’anima truculenta e al contempo sublime di Napoli respira indomita tra quelle note che mescolavano un po’ di jazz, ritmi da “mascalzone latino”, suoni folcloristici e mediterranei, le cui eco ancora oggi risuonano tra i vicoli di questa città che “è mille culure”. Quella città che “è na carta sporca e nisciuno se ne ‘mporta”, e pur tuttavia “è bello a la penzà, è bello a la guardà”. Quella città raccontata e dipinta con tutte le sue pittoresche contraddizioni, le sue storie rocambolesche e strambe, denudata nella sua essenza così drammatica, istrionica, amara, satirica, povera e opulenta. Quella città che ha dato i natali ad un artista le cui canzoni sono intrise di questo spirito poliedrico sempre moderno eppure ancorato alla tradizione, sempre romantico eppure perennemente ironico, sempre contraddittorio eppure innegabilmente coerente: Pino Daniele.
Il cantautore partenopeo, nato nel cuore dei quartieri napoletani, approda fin da subito al mondo della musica, componendo già in età adolescenziale i testi che accompagneranno alcuni suoi brani musicali, divenuti poi dei veri e propri capolavori. Ma è soltanto all’età di 22 anni che Pino Daniele spicca il volo, grazie alla pubblicazione del suo primo album intitolato “Terra mia” che vanta canzoni del calibro di “Napul è”, “Na tazzulell ‘e cafè”, “Libertà”. Ritmi ancestrali e poliedrici, accesi e dinamici, ma anche velati da una leggera e amara malinconia, tipicamente partenopei eppure con audaci sperimentazioni di blues perché “A me me piace ‘o blues e tutt’ ‘e juorne aggia canta’” fanno da sfondo al ritratto sublime, inciso di graffi arroventati, che l’artista effigia della sua città, illustrandone gli imperdonabili difetti, eppur amandola.
“Pino Daniele è un po’ l’Eduardo della canzone, un musicista che riesce a tirare fuori napoletanità e sentimento senza cadere nel folklore o nel partenopeo a tutti i costi.”
diceva di lui l’amico fraterno Massimo Troisi. E aveva ragione. Il sentimento si impossessava innegabilmente dei testi del cantautore napoletano, percorsi anche da una pungente concezione della vita. Una vita che “è nu muorzo”, in cui si avverte un impellente bisogno di “alleria” perché “pe’ ‘nu mumento te vuo’ scurda’ che hai bisogno d’allegria…quant’hê sufferto ‘o ssape sulo Dio”, in cui tuttavia l’ottimismo, peculiarità distintiva del popolo napoletano, non manca mai. Del resto “ma che te ne fotte?! E quando good good cchiù nero da notte nun po’ veni’!”
Dopo l’uscita di album come “Nero a metà”, dedicato all’amico e collega Mario Musella, “Vai mo” e “Mascalzone latino”, gli anni ’90 non soltanto inaugurano importanti collaborazioni con artisti illustri del mondo della musica come Eric Clapton, Chick Corea, Gato Barbieri, ma in questo periodo della sua vita Pino Daniele scrive anche colonne sonore per i film la cui regia è curata da Troisi.
“Massimo, ho scritto una canzone, mi fai un film?”
Questa la battuta che scherzosamente l’attore napoletano attribuisce al suo amico, riferendosi al brano musicale “Quando”, composto per il film “Pensavo fosse amore, invece era un calesse”.
Differente l’impostazione delle nuove canzoni che il cantautore partenopeo scrive per gli album “Non calpestare i fiori nel deserto” e “Dimmi cosa succede sulla Terra”, in cui il dialetto napoletano, liturgia delle sue composizioni, lascia spazio, invece, a testi come “Io per lei” e “Dubbi non ho”, in cui è possibile cogliere nuove sonorità pop e nuove cadenze musicali.
Un anno fa Pino Daniele viene stroncato da un infarto nel cuore della notte, privando non solo Napoli, ma il mondo intero di “Parole e musica” che
“nascono assieme. È roba che fa da sempre parte della mia vita. Perché io stesso nasco in musica”.
La musica è finita. È in quel “paradiso che forse esiste”.
Ciao Pino.
Clara Letizia Riccio