«Benché si legga con la mente, la sede del piacere artistico è tra le scapole; è quel piccolo brivido che sentiamo là dietro.»

(Vladimir Nabokov)

Arte è sublimità. Arte è incanto, magnificenza, onirica prepotenza della bellezza che si impossessa di due mani, una mente, un corpo, due occhi e partorisce, come la più affettuosa delle madri, capolavori che rendono la vita più lieve e meno terribile. Arte è splendore che si irradia in ogni dove e in ogni quando, insolente tripudio di meraviglia, flusso orgasmico di sensazioni devastanti e straordinarie. Ma arte è soprattutto dialogo, idioma che, seppur superlativo, è da tutti conosciuto e compreso.

Non esiste una lingua che possa mettere in comunicazione tutte le popolazioni del mondo, non esistono parole che siano pronunciate allo stesso modo e che denotino il medesimo significato, non esistono vocabolari che annoverino gli stessi termini: l’unico linguaggio universale che sopravvive sulla Terra si incastona nella pietra adamantina dell’arte. È questo il nobile messaggio della mostra Isole nella corrente, in corso al Palazzo delle Arti di Napoli dal 4 al 14 settembre.arte diversità

Le opere dei tre artisti in esposizione (Gabriella Gorini, Antonio Barbagallo e Fausto Morviducci) ravvisano il loro comun denominatore nell’analisi, condotta con superba maestria, dell’iridescente eterogeneità presente nel mondo di oggi: storie variopinte, culture che ineluttabilmente si incrociano e si mescolano, genti di differente provenienza che si incontrano e che convergono verso una multiculturalità sempre più vigorosa ed incisiva. L’autore è come un vaso da dover riempire, una terra vergine ed incorrotta, e i contadini che la solcano, la coltivano non sono altri che le contaminazioni scaturenti dall’unione così vibrante di costumi e modus vivendi completamente diversi gli uni dagli altri.

L’occhio dell’artista naufraga nel mare camaleontico della diversità, che è tale solo all’origine e, navigando di onda in onda, diviene omogeneità. Ed ecco che le difformità si dissolvono nel nulla, il muro granitico delle differenze viene abbattuto, ed anzi la diversità, quella stessa diversità così condannata, così insultata, diviene fulgido bagliore, arricchimento culturale, galvanizzante scoperta di ciò che è nuovo, dissimile, alternativo. La diversità è ricchezza, copiosa prosperità, senza la quale il mondo sarebbe solo un’incolore piattaforma senz’anima. Ed è icastica diversità di popoli, civiltà, etnie, così bella e illuminante da oscurare persino il grigiore plumbeo del razzismo. Del resto:

«Nel mondo non ci sono mai state due opinioni uguali. Non più di quanto ci siano mai stati due capelli o due grani identici: la qualità più universale è la diversità.»

(Michel de Montaigne)

È questo il filone a cui si ispirano primariamente le opere di Gabriella Gorini: tasselli, sui quali la stessa immagine assume poliedriche forme e colori disparati, paiono voler intonare un’unica melodia, paiono voler comporre un mosaico dalla dubbia e molteplice interpretazione. In queste opere ciò che spicca solennemente è l’eterno incontro tra occidente ed oriente , dove i confini dell’uno e dell’altro sono completamente annebbiati, dove non si riesce a scorgere il punto in cui inizi l’uno e finisca l’altro. Anche l’uso dei materiali decolla nel cielo della diversità, spaziando dall’olio all’acrilico, fino al metallo.

Come un viaggio attraverso i campi sterminati della differenza, nella sala accanto figurano le tele di Fausto Morviducci. Dal cinema al fumetto, dall’arte classica alla poesia dantesca, l’arte di Morviducci si muove nell’ordito di una sardonica iconoclastia, di una sottile ironia, lambendo i margini di un’impalpabile, seppur presente, tragedia. È questo il leitmotiv de “Il viaggio” in cui, sui versi della Divina Commedia, campeggia la statua de “Il ratto di Proserpina”, o anche di “Micio micio” in cui sotto il volto sommesso della Madonna , vi è l’effigie di un gatto dall’espressione spaurita.

L’esposizione contempla anche l’elemento naturalistico che esplode nel vento. Antonio Barbagallo valica il prosaico atto di “parlare al vento”, al contrario l’artista napoletano “conversa” con esso, nel senso latino del termine “cum versari”: “trovarsi insieme”, come illustra Adriana De Siero. Trovarsi insieme ad un elemento per sua natura sfuggente, anguillesco, inafferrabile, precipitare nel suo impetuoso vortice, perdersi tra i meandri della sua leggerezza, tra i suoi spazi rarefatti e vuoti, lasciando che il suo soffio ti avvolga, ti inebri della sua essenza arcana ed enigmatica. D’altronde, come affermava Henry Miller:

«L’arte non insegna nulla, tranne il senso della vita.»

Clara Letizia Riccio

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