Arjen Robben ha annunciato il suo addio al calcio, dopo una carriera contornata da successi, cambi di casacca, infortuni e… da una giocata particolare.
Il suo piede naturale era il sinistro, eppure preferiva giocare sulla destra. Quando partiva palla al piede era praticamente inarrestabile, la sua accelerazione e la sua tecnica di un altro livello gli permettevano di lasciarsi facilmente alle spalle gli avversari. Poi, una volta arrivato sulla tre quarti, la sua giocata inconfondibile: rientro sul piede sinistro e sparo verso la porta avversaria. La giocata alla Robben è qualcosa che abbiamo imparato a conoscere negli anni a causa della frequenza con la quale l’attaccante olandese la metteva in pratica in ogni singola partita. Una giocata dotata di un grado di prevedibilità così alto che, forse, proprio per quel motivo, azzerava le possibilità dei difensori di stopparla. E ad essere consapevoli di ciò che Robben stava per fare quando aveva la palla incollata ai piedi non erano soltanto i difensori, ma anche gli spettatori seduti tra il pubblico o davanti alla tv: chi di noi, almeno per una volta, non ha gridato dietro al giocatore di turno imbambolato da Robben, quasi con l’intento di voler entrare in campo al posto suo con il fine di mostrargli come fare per fermarlo, perché in fondo faceva “sempre la stessa cosa”? Ma la facilità con la quale l’olandese volante saltava l’uomo ed arrivava al tiro in ogni singola occasione, in fin dei conti, avrà fatto ricredere tutti, convincendoci che, in fondo, quella sua finta era veramente imprevedibile e incontrastabile. La fascia destra è diventata negli anni il suo habitat naturale, uno spazio incontaminato dove nessun altro poteva mettere piede e dove l’olandese esaltava tutte le sue qualità individuali che quasi rendevano superflue quelle del gruppo.
Una carriera in giro per l’Europa
Quella di Robben è una carriera particolare, iniziata molto presto, in patria, tra le fila del Groningen, quando, ancora sedicenne, viene chiamato a far parte della prima squadra. Il giovane talento, pur col vizietto di portare troppo palla, impressiona talmente tanto che dopo due anni ad alti livelli viene acquistato dal PSV Eindhoven, dove conquista il suo primo titolo nazionale da professionista. Nel 2004 arriva alla corte di Roman Abramovic, dove, pur facendo fatica a trovare un posto da titolare, aiutò Mourinho nella conquista della Premier League. La sua striscia di vittorie non si ferma nemmeno quando il Real Madrid di Florentino Perez lo acquista per 40 milioni dai Blues, portando a termine l’acquisto più costoso della storia del club dopo leggende come Zidane, Figo, Beckham e Ronaldo. Anche in terra iberica, infatti, l’olandese riesce ad alzare la Liga a suon di gol e di magnifiche giocate, arricchendo così il suo bottino di trofei; eppure, le sue buonissime prestazioni con la maglia dei Blancos non sono abbastanza per convincere Florentino a mantenerlo nel gruppo. L’acquisto di Cristiano Ronaldo comporta inevitabilmente il suo sacrificio, una scelta che, dopo 10 anni, Robben non ha ancora perdonato al club di Madrid.
Bayern Monaco, il grande amore
Tuttavia, se non fosse stato per la sua cessione, Arjen Robben non avrebbe mai indossato la maglia del Bayern Monaco, né probabilmente avremmo mai apprezzato le sue giocate o assistito a quello che, senza dubbio, è stato il suo periodo di massimo splendore. 10 anni di Baviera, 8 campionati nazionali, 309 presenze e 144 gol lo hanno reso sicuramente uno dei giocatori più forti della sua generazione, per intenderci, la stessa di Wesley Snejder, di Robin Van Persie, di Rafael Van der Vaart, oltre a valergli il titolo indiscusso di Re della Baviera. Durante gli anni in Baviera è stato allenato dai migliori tecnici in circolazione, da Heynckes ad Ancelotti, fino ad arrivare a Guardiola, e con ciascuno di loro è riuscito a lasciare il segno, a conquistarsi il posto nell’undici titolare nonostante l’età continuasse ad avanzare. La Champions del 2013, conquistata a Wembley ai danni dei rivali tedeschi del Borussia Dortmund e caratterizzata da un suo gol al minuto 89, ha rappresentato il meritatissimo premio per una carriera giocata ad altissimi livelli. Insieme a Ribery ha scritto la storia del club bavarese, dando vita ad una delle coppie di ali più devastanti di sempre. Non a caso sono entrambi entrati nel cuore dei tifosi, che infatti gli hanno dedicato una bellissima coreografia in occasione della loro ultima partita con la maglia dei bavaresi, disputata in casa lo scorso 18 maggio contro l’Eintracht Francoforte, valsa l’ennesima Bundesliga.
Gli infortuni e quel mondiale mancato per un p… iede
Eppure, nel brillante percorso calcistico di Arjen Robben vi sono due circostanze che ne hanno impedito forse la piena e completa esplosione. Da un lato, il Mondiale mancato nel 2010 ha reso impossibile il coronamento della carriera dell’olandese. Tutto solo per via di un piede, quello di Iker Casillas, il quale al minuto 61 si esibisce in una parata che devia il sinistro di Robben e strozza in gola l’urlo dei supporters orange, pronti ad esultare il vantaggio della propria squadra, che avrebbe verosimilmente dato un altro finale alla partita, conclusasi con il celebre gol di Iniesta. Dall’altro lato, non si può escludere che i numerosi infortuni che, puntualmente, nel corso di ogni stagione hanno tormentato i muscoli del talento olandese, ne abbiano in un certo senso frenato l’ascesa definitiva tra i veri signori del calcio. È ciò che ci spinge a credere che, verosimilmente, siano state le stesse noie muscolari a spingerlo a prendere quella che ha definito la decisione più difficile della sua carriera. In una intervista di qualche mese fa, nella quale era percepibile tutta la sua frustrazione per l’impossibilità di scendere in campo, aveva confessato di non riuscire a tenere testa ad un infortunio che lo perseguitava ormai da mesi, senza prospettargli un rientro in campo.
Insomma, una carriera del tutto particolare per un talento che, ad oggi, non può lasciare alcuna eredità in patria. Non a caso l’Olanda, dopo la finale del 2010 e la semifinale del 2014 è entrata in un periodo di crisi di risultati legato all’incapacità di produrre talenti del calibro dell’ex Bayern. Si sa, le generazioni d’oro non si ripetono, e la sensazione è che di giocatori come Robben non ne vedremo almeno per un po’.
Amedeo Polichetti
fonte immagine in evidenza: bavarianfootballworks.com