Quante volte a tavola ci è stato ripetuto che mangiare è un privilegio e che lo spreco di cibo è un grave peccato? Tante, ma certamente non abbastanza. Lo spreco di cibo è infatti un problema sempre più pressante sul quale diverse istituzioni a livello europeo e globale hanno iniziato a lavorare negli ultimi anni.
Il dodicesimo obiettivo dell’Agenda ONU 2030, “garantire modelli sostenibili di produzione e consumo”, mette in risalto proprio la questione alimentare. La FAO (L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) si configura come quasi l’unica fonte di dati a livello macro-regionale e mondiale sul tema. La definizione standard di “spreco di cibo” viene sempre dalla FAO: qualsiasi sostanza sana e commestibile, destinata al consumo umano, che venga sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in qualsiasi punto della filiera agroalimentare. Grande attenzione va posta alla formula “in qualsiasi punto della filiera” poiché, in Italia come nel mondo, lo spreco di cibo non si riferisce solo all’atto di buttare un prodotto non scaduto nel cestino, ma a tutta la catena di raccolta, trasporto e vendita (la filiera, appunto) nella quale gli alimenti vengono effettivamente sprecati.
Dove e perché si spreca il cibo?
La “catena dello spreco” comincia durante la fase di coltivazione e raccolta, dove le perdite alimentari sono causate principalmente da fattori ambientali e climatici. Ciò avviene non solo, ma in grande parte, nei paesi non-Occidentali o cosiddetti “in via di sviluppo”. Ad esempio nel Sahel, dove piogge improvvise e torrenziali si alternano a periodi di grande siccità, è ormai sempre più frequente la devastazione dei raccolti a causa sia della mancanza d’acqua che di frequenti inondazioni.
Le inefficienze nelle fasi produttive e malfunzionamenti tecnici sono invece le due principali ragioni dello spreco di cibo durante il processo di lavorazione dei prodotti agricoli. In questa fase gli alimenti vengono scartati, solitamente nei paesi più ricchi, anche per via di difetti di peso, forma o confezionamento; ciò avviene non perché il loro valore nutrizionale sia compromesso, ma per esigenze legate alla successiva fase di distribuzione.
Nella fase di distribuzione vendita, a determinare gli sprechi di cibo sono soprattutto le previsioni sbagliate riguardo al consumo dei clienti. Ma non solo. Soprattutto nella GDO (grande distribuzione organizzata) una questione cruciale è la nascita del desiderio di acquisto da parte del cliente a causa, o comunque in funzione di, l’abbondanza di alimenti disposti sugli scaffali rispetto al reale bisogno del consumatore. Nei grandi ipermercati questo fattore psicologico va ad unirsi alle procedure standardizzate per la gestione dei magazzini; più si diventa grandi, infatti, più sembra complicato riuscire a gestire in maniera capillare tutte le singole, e spesso divergenti, esigenze dei propri punti vendita, comprese le scadenze dei prodotti.
Infine l’ultimo passaggio nella catena dello spreco di cibo sono i consumatori finali. Per quanto riguarda l’Italia, l’Osservatorio Waste Watcher nella sua indagine 2021 riporta che quasi il 50% dello spreco è dovuto alla scadenza di prodotti dimenticati in frigo, oltre che un eccessivo acquisto di alimenti.
I dati in questo caso derivano principalmente da sondaggi sottoposti agli acquirenti, il che potenzialmente crea il problema della cosiddetta desiderabilità sociale: poiché lo spreco di cibo ha una forte connotazione negativa, è probabile che i dati sottostimino lo sperpero alimentare da parte dei consumatori. Gli intervistati infatti, guidati spesso implicitamente dal potenziale giudizio della società (seppure i questionari siano in forma anonima), tenderanno a rispondere sottostimando il proprio spreco di cibo. Alla domanda “perché la mia famiglia spreca”, soltanto il 29% ammette di aver acquistato troppi alimenti rispetto alle necessità del nucleo familiare, mentre alla domanda “perché gli altri sprecano”, ben il 46% dei rispondenti sostiene che famiglie diverse dalla propria acquistano più di ciò di cui hanno davvero bisogno.
Spreco di cibo: cosa si spreca e quali sono le conseguenze ambientali?
Una premessa importante riguardo lo spreco di cibo è la difficoltà di raccogliere dati in maniera capillare e consistente. Per il momento, mentre per supermercati e grande distribuzione vi sono registri che tengono conto degli alimenti che vanno sprecati, i dati sulle famiglie si basano quasi esclusivamente su interviste e sondaggi. Tuttavia, nel ultimi dieci anni i paesi scandinavi (con la Svezia in prima linea) hanno compiuto molti sforzi a riguardo e stanno sviluppando metodologie di ricerca e raccolta dati sempre più precise. A livello globale, nel 2011 lo spreco mondiale annuale è stato stimato in circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti, e solo il 43% dei prodotti coltivati sono stati effettivamente consumati. Secondo il Barilla Centre for Food and Nutrition ogni cittadino europeo spreca 180kg di cibo ogni anno. In Italia lo spreco medio di cibo è quantificabile a più di mezzo chilo a persona ogni settimana (529.9 grammi, secondo i dati del progetto REDUCE). L’alimento più sprecato, in percentuale e sul totale dei cibi considerati, è la frutta fresca, seguita da verdure, cipolle e tuberi, insalata e pane fresco.
Parlando di impatto ambientale, sprecare cibo significa sprecare anche le risorse usate per produrlo: energia, acqua, terra. Ma non solo: bisogna anche considerare l’utilizzo di combustibili fossili e fertilizzanti nella produzione agricola, che influiscono negativamente sulle emissioni di CO2. Lo sperpero alimentare è quindi anche legato ad un maggiore inquinamento. La FAO ha stimato che lo spreco alimentare mondiale produce emissioni di gas a effetto serra pari a circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2: ciò significa che se lo spreco alimentare fosse uno Stato, sarebbe al terzo posto tra quelli che producono più emissioni, dopo USA e Cina.
Che fare?
Lo spreco di cibo è fortemente legato alla ricchezza: più sono alti gli stipendi, più alta è la quantità di cibo sprecata. Nonostante ciò, Coldiretti ha rilevato che 4 milioni di Italiani hanno dovuto fare affidamento su servizi di mensa gratuita per poter mangiare. Lo spreco e la mancanza di cibo sono due facce della stessa medaglia, una triste medaglia che indica ancora alti livelli di diseguaglianza interni al Belpaese.
Tra le soluzioni proposte per ridurre lo spreco, la Legge Gadda, approvata nel 2016, consente di donare il cibo in scadenza a chi ne ha bisogno. A tal riguardo, importante è il lavoro che da anni svolge il Banco Alimentare nel ritirare gli alimenti dalla GDO (ovviamente ancora in ottima condizione) per distribuirli ai più bisognosi. Per quanto riguarda lo spreco di cibo da parte del consumatore, invece, per evitarlo vi sono plurime soluzioni: mangiare prima il cibo deperibile (ed organizzare il frigo a seconda delle scadenze); controllare la qualità degli alimenti scaduti da un giorno e, nel caso, consumarli invece che buttarli; congelare il cibo che non si consuma. In conclusione, dunque, le soluzioni ci sono, ma, al momento, ci troviamo solo all’inizio di questa grande e complicata lotta contro lo spreco di cibo. Più sforzi sono necessari, da un lato per sensibilizzare i consumatori e, dall’altro, per organizzare meglio la filiera.
Lorenzo Ghione