Ormai è ufficiale: Donald Trump vuole riprovarci. Durante il suo ultimo discorso, davanti a una folla gremita di sostenitori, il Tycoon ha annunciato la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2024. Con parole piene di pomposa retorica, che alcuni hanno giudicato “vecchia e superata”, l’ex inquilino della Casa Bianca ha richiamato una “nuova età dell’oro” per gli Stati Uniti. Una sorta di “new MAGA” che sa tanto di minestra riscaldata, nonostante tutti gli indizi indichino che i tempi sono cambiati e il 2016, anno in cui fu eletto alla Casa Bianca, è solamente un lontano ricordo.
La candidatura di Trump, arriva, però in un momento difficile per lui e per il Partito Repubblicano. Il “pareggio” ottenuto alle elezioni di metà mandato della scorsa settimana, dopo che alcuni prevedevano una vittoria schiacciante in entrambe le Camere – la “red wave“, cioè un’onda rossa – rimescola le carte in tavola all’interno del partito e mette in serio dubbio la tenuta della leadership del Tycoon, insidiata dall’astro nascente – già noto ai floridian – del GOP, cioè Ron DeSantis.
Per questo motivo si crede che l’annuncio sia da interpretare come una sorta di mossa della disperazione, perché Donald Trump, da “vecchia volpe” della comunicazione, sa benissimo che un annuncio diretto in un periodo elettoralmente difficile è quasi sempre un azzardo, ma il gesto è da considerare come il “lancio” di un guanto di sfida per la leadership nei confronti del governatore della Florida, il quale ha tutte le carte in regola per mettere il bastone tra le ruote del Tycoon.
Trump ci riprova nel 2024, ma non sarà facile
Trump è il primo candidato ufficiale alle primarie del Partito Repubblicano per le elezioni presidenziali del 2024. L’ex inquilino della Casa Bianca ha annunciato la candidatura dalla sua residenza in Florida, Mar-a-Lago, anticipando tutti e seguendo la stessa strategia adottata nel 2016, cioè quella di bruciare sul tempo gli oppositori interni monopolizzando il dibattito delle presidenziali attorno al suo nome. I tempi, però, sono cambiati.
I conservatori non sono più così sicuri che quello di Trump sia un nome vincente. E il motivo è presto detto. Nonostante l’enorme mobilitazione pre-elettorale, la quale sembrava confermare l’arrivo di una gigantesca onda rossa in Parlamento, i risultati delle midterms sono stati meno dolorosi del previsto per i Democratici. A confermare le difficoltà di Trump ci sono i suoi candidati, i quali hanno perso in collegi considerati sicuri, distaccati di circa 5 punti dagli avversari. Anche al Senato, dove si credeva che i repubblicani avrebbero vinto proprio grazie ai candidati scelti dal Tycoon dalla società civile, la realtà ha capovolto le speranze dell’ex Presidente. Tali vittorie dei democratici sono state l’ennesimo motivo che ha portato i conservatori ad allontanarsi dall’ingombrante figura del loro ex beniamino.
Per anni il partito ha accettato le intemperanze e le bizzarre idee di Donald Trump, seguendolo ovunque in qualsiasi iniziativa, spostandosi su posizioni sempre più estremiste perché era l’unico candidato che godeva di un certo ascendente e di una grande popolarità fra gli elettori. Il potere mobilitante in possesso del Tycoon non ce l’aveva nessuno nel GOP, nemmeno i politici di lungo corso. Le ultime sconfitte, però, hanno messo in serio dubbio la tangibilità di questa capacità in suo possesso. Forse un altro Partito Repubblicano è possibile.
Sicuramente l’ex Presidente rimane uno dei favoriti a ottenere la candidatura nel partito. Ma nelle ultime settimane la sua popolarità è leggermente calata nei sondaggi, dando adito ai dubbi degli analisti che prevedono una lotta al vertice con un altro astro nascente dei repubblicani: Ron DeSantis, il governatore della Florida. Ad esempio, una rilevazione di YouGov a margine del voto delle elezioni di metà mandato ha certificato come il politico di origine italiana sia più popolare del suo avversario (42% contro il 35%), ma anche altri sondaggi danno in ascesa il nome di DeSantis, nonostante lo collochino sotto Trump negli indici di gradimento.
Ecco spiegato il motivo per cui Trump ha deciso di fare un annuncio in un momento in cui i dettami della comunicazione politica lo sconsiglierebbero. Rispetto al 2016, quando il Tycoon annunciò la sua candidatura quando era sicuro di vincere, questa volta non è così. Una parte consistente dei suoi elettori e dei dirigenti del GOP inizia a temere che il suo nome non sia più un valore aggiunto, ma un freno. La sua retorica e l’ottimismo dei suoi discorsi non sono più quel collante che fu durante la precedente campagna per le elezioni presidenziali del 2016. Lui ci crede e i suoi fedelissimi glielo lasciano credere in attesa di salire su una “nave” più sicura, ma la crescente popolarità del suo avversario lo ha portato comunque a una “monopolizzazione d’emergenza” del dibattito pubblico, nel tentativo di togliere visibilità a DeSantis.
I timori principali dei dirigenti repubblicani e degli stessi esperti di comunicazione del partito sono relativi soprattutto alla sua capacità di attrarre un elettorato più moderato – in crescita negli USA – di sesso femminile e di orientamento indipendente. Mitt Romney lo ha paragonato a un vecchio lanciatore di baseball che in passato ha vinto delle partite ma che ora che inizia a perderle tutte e, di conseguenza, deve farsi da parte per far posto a un “nuovo giocatore”. La metafora è chiara: Donald Trump deve lasciare il posto a DeSantis.
Ma nella sua corsa alle primarie il Tycoon e il governatore della Florida non saranno da soli. Ci sono altri nomi importanti che stanno valutando la candidatura. Tra questi Mike Pence, ex vicepresidente di Trump, l’ex segretario di stato Mike Pompeo, il governatore uscente del Maryland Larry Hogan e il governatore della Virginia Glenn Youngkin.
Oltre al declino della buona stella all’interno della sempre più consistente fetta dell’elettorato moderato dei repubblicani, Trump deve affrontare anche altri problemi, il primo dei quali è la difficoltà a reperire grossi finanziamenti per la sua campagna elettorale. Al contrario del 2016 i grandi finanziatori nutrono seri dubbi sulle sue possibilità di vittoria – uno su tutti Rupert Murdoch, magnate televisivo e proprietario di Fox News – preferendo puntare su un “candidato più giovane”. E poi ci sono le questioni legali: dall’indagine sui documenti riservati che Trump ha sottratto alla Casa Bianca durante gli ultimi giorni della sua presidenza al coinvolgimento nell’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021, passando per questioni fiscali ed economiche.
Ron DeSantis e il momento del GOP
Non è un grande momento per il GOP, il quale dopo il non entusiasmante risultato delle ultime elezioni di metà mandato è alla ricerca di un modo per risalire la china. L’ex presidente ha dato l’annuncio della sua nuova corsa elettorale contro il parere di alcuni suoi consiglieri e in assenza di quasi tutti gli esponenti repubblicani del Congresso. L’establishment ha accolto con freddezza il suo discorso a Mar-a-Lago, mentre molti sono convinti che sia stato proprio lui a causare la “mancata onda rossa” a causa del suo sostegno a candidati poco efficaci e che hanno perso quasi subito. I finanziatori lo hanno abbandonato e nel caso in cui dovesse vincere le primarie il Partito Repubblicano potrebbe trovarsi da solo, ancorato a un uomo che una sempre più consistente parte dell’elettorato comincia a rifiutare, inviso alla classe dirigente del partito e sostenuto soltanto dai “Maga patriots“, cioè la base agguerrita dei repubblicani, più fedeli a Trump che al GOP, responsabile di quanto accaduto al Campidoglio.
Lo scenario è tutt’altro che roseo per la più antica formazione politica americana, la quale non può ancora scaricare il potente ex presidente e deve cercare un modo per arginarlo. Difficilmente sarà possibile convincere il Tycoon a fare un passo indietro, di conseguenza il partito spingerà su altri candidati come Ron DeSantis, il quale può essere considerato il pupillo dell’ex presidente. Di origini italiane, ex avvocato e capitano dell’esercito, DeSantis ha 44 anni e in passato è stato un deputato poco conosciuto. Nel 2018 è stato sostenuto da Donald Trump, tanto che alcuni non lo considerano un repubblicano moderato bensì una sorta di “trumpista moderno“, e cioè la “faccia presentabile del trumpismo“.
Il trionfo in Florida di Ron DeSantis, uno dei pochi governatori che ha stravinto, preoccupa il Tycoon, che ha intuito di essere da solo e di dover correre più del previsto per vincere le primarie per le elezioni presidenziali del 2024. Emblematiche le dichiarazioni rilasciate proprio da Trump nelle ore successive alla vittoria del governatore: “farebbe meglio a non candidarsi“. Una sorta di avvertimento, conclusosi con una minaccia di diffondere informazioni e materiale “poco lusinghiero” nei confronti del politico di origine italiana.
Il timore è che la lotta di potere che si aprirebbe potrebbe fortemente danneggiare il partito, la campagna elettorale e polarizzare ulteriormente l’elettorato risvegliando vecchi fantasmi, in realtà mai sopiti, che con la candidatura di Donald Trump potrebbero tornare a infestare la politica americana in occasione delle prossime elezioni presidenziali.
Donatello D’Andrea