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Foto Roberto Monaldo, LaPresse

Un Governo che non investe nell’istruzione danneggia moralmente, socialmente ed economicamente il proprio paese, eppure l’Italia è tra i Paesi che spendono meno in istruzione e scuola, peggio solo la Grecia e altri Stati dell’Est Europa. A dirlo sono i dati dell’OCSE relativi al 2016, mentre a confermare che la situazione non migliorerà sono i tagli all’istruzione nella spesa pubblica.

Volgendo lo sguardo agli ultimi dieci anni, appare chiaro che la spesa per sostenere l’istruzione sia apparsa ad alcuni Governi più come un costo da tagliare che una carta da rigiocare e su cui investire.

Era il 2008. La combinazione di politiche imposte a livello europeo di fronte alla crisi economica e alle scelte di politica interna hanno determinato una situazione di instabilità sia su istruzione che su ricerca. Tra il 2007 e il 2017 la spesa per l’istruzione è passata dal 4,5% a quello che è oggi il 3,8% del PIL. La lungimiranza è di certo mancata. L’Italia è l’unico Paese che durante la crisi economica ha praticato tagli all’istruzione in misura decisamente rilevante – il 10%, contro una media europea del 2%.

Scuola e istruzione per cosa? In fondo, di cultura non si mangia

La culla di Dante, Petrarca e Boccaccio spende 66 miliardi nella scuola, meno di quanto paga di interessi sul debito pubblico (69 miliardi), è ciò che emerge dai dati (riferiti al 2017) dell’Osservatorio sui Conti Pubblici di Carlo Cottarelli anticipato su Repubblica.

Con il Governo del cambiamento la situazione non è certo migliorata, anzi. I tagli hanno coinvolto: alternanza scuola lavoro, formazione dei docenti, diritto allo studio, edilizia, blocco assunzioni. In più per nel triennio 2019-2021 è prevista una riduzione di circa 4 miliardi di euro, da 48,38 miliardi si passerà a 44,48 del 2021.

Eppure, puntare sulla scuola e attuare politiche contrarie ai tagli all’istruzione significa guardare all’aumento del PIL di un Paese e renderlo competitivo, mentre non farlo significa essere ciechi di fronte alle possibilità economiche che potrebbero essere tradotte in crescita. Ma non si tratta solo di profitto.

L’Italia dell’irreale

Secondo un’indagine di Ipsos dello scorso settembre, basata su oltre 50mila interviste, l’Italia è la prima nazione in cui la percezione del reale è lontana dai fatti. La più ignorante insomma. Di fronte a domande sui tassi di disoccupazione, immigrazione, omicidi, gli italiani appaiono adattati ma non completamente aderenti alla realtà.

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«Da un lato il livello d’istruzione troppo basso, con quel 16,3 per cento di laureati sulla forza lavoro che continua a condannarci al fondo del ranking Ue; dall’altro la moderna dieta mediatica in cui primeggia, accanto alla Tv, l’informazione “fai-da-tesu Internet e sui social media» ha commentato Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia.

Il legame tra tagli all’istruzione e percezione del reale

L’ignoranza è forza. È uno degli slogan del romanzo di George Orwell, 1984. Una frase che potrà sembrare banale, ma si rivela incredibilmente vera perché declinabile a ogni epoca e a ogni essere umano.

L’anti-cultura è “il paradigma della massa manovrabile” (come ha detto Gustavo Zagrebelsky ne Il «Crucifige!» e la democrazia): un popolo che sa poco ed è poco cosciente di ciò che accade è influenzabile e gestibile. Di contro, un popolo informato non può abbassare la testa e lo sguardo davanti alle belle parole. La percezione del reale è perciò strettamente connessa all’istruzione e alla scuola, il cui fine non è certo quello di insegnare semplici formule e regole da memorizzare.

L’istruzione ha il compito di rendere famelici, di infiammare la curiosità, di accendere il dibattito tra quelli che sono studenti oggi e cittadini (votanti) domani: la scuola serve a sviluppare lo spirito critico. I tagli all’istruzione impediscono sul nascere qualsiasi tentativo di miglioramento e potenzialmente spalancano le porte a quanti vogliono governare su cittadini confusi, delusi e facilmente convincibili.

La politica, prima di essere azione e programma e governo, è narrazione del mondo e di sé. E, di fronte al dilagare di movimenti populisti, avere coscienza di ciò che accade è determinante per scegliere in modo libero e cosciente.

Alba Dalù

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