I Terroni Uniti tornano con un nuovo singolo a sostegno della causa NO DAPL dei nativi americani Sioux in North Dakota.
Da mesi ormai si parla – non abbastanza – della protesta pacifica di moltissime tribù Sioux contro la costruzione di un mega oleodotto: il progetto DAPL (Dakota Access Pipeline) consiste in 200 km di trasporto di greggio, dal North Dakota all’Illinois. La linea passerebbe attraverso la riserva Standing Rock, ad oggi abitata da nativi che stanno portando avanti una durissima protesta antiviolenta di disturbo e rallentamento dei lavori: il problema principale, infatti, oltre che la violazione di un territorio sacro (danni a siti archeologici e a luoghi di sepoltura) è che il DAPL passerebbe sotto il fiume Missouri, fonte di approvigionamento di acqua di queste popolazioni, e i rischi di perdite sono praticamente certi.
Il movimento NO DAPL va avanti da mesi con proteste pacifiche a cui la polizia, in tenuta antisommossa, risponde con violenze e soprusi di ogni tipo: cani addestrati a mordere i manifestanti, gas lacrimogeni, manganelli, autoblindo, sirene assordanti e proiettili di gomma.
Le notti a Standing Rock proseguono gelide, bagnate dall’acqua dei cannoni antisommossa puntati sui protestanti che hanno come unica arma l’amore per la loro terra, di cui si proclamano protettori e non possessori: la Madre Terra è di tutti, e non è solo un asettico container da cui attingere all’infinito. È, invece, il luogo in cui riposano gli antenati, un organismo da cui prendere e a cui restituire energia, che ci è dato solo in custodia: una visione che i coloni americani non hanno mai avuto l’onestà intellettuale di accettare, visto che tuttora si dimenticano che, se al mondo siamo tutti ospiti, i bianchi in America lo sono soprattutto.
È l’eterna storia della prevaricazione del forte sul debole, che non ha mai smesso di rimanere la narrazione predominante della storia del mondo.
Eppure una soluzione c’è, ed è quella di interrompere il monologo di potere per levare alte le voci dei subalterni. Forse la flebile voce di un gruppo di sfuttati poco può contro i grandi potenti: eppure se si uniscono tutte le voci e se il vociare diventa strepito e poi schiamazzo e coro e canto, di tutti i subalterni del mondo che uniscono le loro battaglie contro un modello eteronormativo, bianco, capitalista e standardizzato, allora la battaglia si può ancora vincere.
È in quest’ottica che i Terroni Uniti, collettivo di cantanti del Sud, hanno lanciato il nuovo singolo Simmo tutte Sioux, a sostegno della lotta dei nativi.
Credo alla Madre Terra,
se la rispetti parla.
La avete già uccisa una volta,
non ci provate mai più.
Non sono soli i Dakota,
qui siamo tutti Sioux
Al coro di “sta terra nun s’adda tuccà” i Terroni Uniti (che hanno avuto un grandissimo successo con il loro primo singolo Gente do Sud) sono l’espressione di quel meridionalismo che, partendo da Napoli, dalle sue musiche e dai suoi giovani, si sta espandendo a macchia d’olio, portatore di valori antirazzisti, di rispetto e di accoglienza in completa contraddizione alle tendenze nazionaliste e razziste che stanno attraversando l’Europa, a partire dalla Lega Nord.
L’idea è quella di proporre un modello sudista del mondo, fatto di specificità culturali, di riappropriazione delle tradizioni, di politiche di apertura e di riconoscimento delle somiglianze che accomunano i popoli del Mediterraneo e non.
Da qui, poi, l’amore per la propria terra madre, che è stendardo tanto del meridionalismo che della lotta dei Sioux.
Noi naviganti tutti nella stessa barca,
navighiamo nella storia ma la storia è sempre la stessa,
se non esiste guerra che non sia una guerra sporca
facciamo guerra solo a chi tocca la nostra terra
Ludovica Perina