Franca Barone, artista jazz milanese, pubblica il suo disco di esordio: “Miss Apleton”.
Nome d’arte di Francesca Barone, classe 1985. Una vita fatta di musica, dall’infanzia all’adolescenza, fino ai seminari seguiti all’Università, tra cui il Sondrio Jazz con Rachel Gould e Alatri Jazz con Rosario Giuliani. Dopo alcune collaborazioni e produzioni come vocalist, decide di dare forma ad un album che contenesse i suoi brani. “Miss Apleton” (il suo nomignolo) è il suo primo album di inediti.
Cosa ha rappresentato la musica nella tua vita?
Barone: «In generale, in famiglia si è sempre suonato, ascoltato. Mio padre suonava la chitarra, mia madre il pianoforte, mia sorella il pianoforte e ha studiato al Conservatorio; per cui, c’è sempre stata nella mia vita. Ho iniziato a suonare da piccolissima, a 4 anni, per poi studiare classica fino agli 11 anni. Ho fatto un anno di Conservatorio a Milano e poi ho lasciato, perché la vivevo come una costrizione. Ho ripreso da sola, in autonomia, proprio quando ho ascoltato della roba jazz. Ho avuto modo di ascoltare degli album, delle voci, strumenti e, dopo aver visto un annuncio di un insegnante di jazz che dava lezioni di piano jazz, ho chiamato, a 13 anni, e ho cominciato ad approcciare il genere anche sul piano. Ho fatto parte del coro della scuola alle medie. Ho sempre fatto musica, per scherzo, per gioco, da piccola e più seriamente da grande, dopo la laurea in Economia e Commercio. Nessuno mi ha particolarmente spinto dopo il liceo a fare musica, non mi era neanche mai venuto in mente. L’assenza della musica mi ha fatto venire il bisogno, l’esigenza di “farla” da me qualche anno fa. Volevo dimostrare a me stessa di avere le capacità di fare questo album.»
Tutti i brani sono in inglese: la scelta è maturata, “di mercato”, oppure il risultato di una particolare inclinazione?
Barone: «Non mi sono mai posta il problema, nel senso che ho ascoltato tanta musica italiana e tanta musica inglese. Il jazz è solo inglese, per cui, scrivendo brani di quel genere lì, mi è venuto abbastanza automatico scrivere pezzi in inglese, una lingua che conosco abbastanza bene e che mi piace.»
Parliamo di “Miss Apleton”: ti sei posta degli obiettivi? Ti piacerebbe che le persone cogliessero qualcosa di te ascoltando questi brani?
Barone: «Non c’è un messaggio preciso, veramente solo musica. Io la intendo come un qualcosa di piacevole, come anche il jazz. Ci sono molti altri tipi di jazz più complessi, che sono “di nicchia”, per esperti diciamo. Per cui quello che arriva non è un intento, ma una musica abbastanza immediata, nonostante sia un genere difficile, che sia piacevole all’orecchio. Regalare una mezz’ora piacevole. La cosa di cui mi sto accorgendo è che chi ascolta l’album percepisce una sensazione cinematografica. Mi piacciono molto i film e le colonne sonore, da Morricone a Rota, anche i più recenti, Desplat. Questo aspetto è entrato molto nella mia musica. Nei testi non c’è un messaggio sociale, politico, anche se, nel secondo disco (che sto ultimando), qualcosina c’è…»
Il jazz in Italia ha qualche difficoltà ad emergere. A quale artista ti ispiri e con quali artisti ti piacerebbe collaborare in futuro?
Barone: «Il jazz italiano a me piace molto, ci sono degli artisti molto interessanti. Anche perché il jazz è un po’ italiano: negli anni ’20-’30 gli italiani in America hanno dato un forte contributo all’evolversi del genere, che resta chiaramente afroamericano. L’italiano per me ha qualcosa di africano dentro, il groove, il ritmo, la melodia. Mi piacciono molto le cantanti italiane, anche recenti, come Alice Riccardi. Mi piace scoprire voci nuove perché vorrei scoprire qualcosa che non ho io, per imparare altro. A livello di collaborazione, avrei più piacere nel scrivere qualche brano, soprattutto colonne sonore, che duettare.»
Come procederà il tuo tour di presentazione del tuo album?
Barone: «Dopo Red Ronnie, con la sua trasmissione “Barone Rosso”, sto cercando di fissare qualche data autunnale ed invernale a Milano.»
Sara C. Santoriello