Nel marzo 2022 si sono tenute le prove scritte del concorso ordinario per diventare docente di scuola secondaria. Un evento atteso, considerando che i concorsi nel settore scuola non sono frequenti e il numero di insegnanti precari è in costante aumento. Sono state 430 mila le domande presentate per 33 mila posti. Le prove d’esame avrebbero dovuto tenersi durante il 2020, ma la pandemia ha rallentato la macchina burocratica e quindi le date, le modalità dello scritto, i programmi e i relativi manuali da cui studiare hanno subito delle variazioni in corso d’opera.
Ancora una volta l’opportunità di mettere le mani su un posto stabile, così da non vivere più con l’ansia di vedere la propria vita gestita da graduatorie, liste di punteggi e bollettini, pubblicati in ritardo, con errori, con risultati inattesi, è soggetta a una corsa a ostacoli. Ma alla fine il concorso pubblico ha avuto luogo e 430 mila docenti precari si sono ritrovati davanti a un pc, alle prese con 50 domande a risposta multipla e una clessidra rossa che cronometrava, sullo schermo, i 100 minuti che si avevano a disposizione.
Delle modalità con cui rendere più snello un concorso pubblico di tale portata si è discusso molto: se da un lato i test a crocette possono velocizzare la correzione di una simile quantità di prove, quanto è giusto valutare una persona (che ha acquisito almeno un titolo di laurea magistrale) con domande dettate dal caso? In effetti sotto l’ottica che a una valutazione oggettiva e perfetta si può tendere, ma non si può mai arrivare, i famosi “quizzoni” sembrano essere la carta vincente dei concorsi pubblici, anche se lasciano sempre l’amaro in bocca.
In un mondo in cui il lavoro scarseggia, i concorsi attirano una grossa quantità di persone speranzose di accaparrarsi il famoso posto fisso: in molti pensano di avere una predilezione per una certa professione ma, in un panorama di crisi, perché non provare a mettersi a posto? La situazione è critica soprattutto per quei concorsi che non sempre specificano bene la mansione da ricoprire, con il risultato di ottenere un disallineamento dei requisiti richiesti nei bandi con la reale formazione dei candidati.
Una criticità che sta riemergendo in questi ultimi giorni è il problema dell’interpretazione ambigua dei quesiti a risposta multipla. Si sono verificati casi di domande poco chiare, e chi fa il test può dare una risposta potenzialmente valida ma ufficialmente considerata scorretta. O peggio, come nel caso del concorso per docenti ordinario 2022, è successo che i quesiti erano sbagliati o mal articolati. Scoccati i 100 minuti, i giochi non sono fatti: le domande di ricorso ai Tar (organi della giustizia amministrativa, con competenza sui ricorsi per irregolarità nei concorsi pubblici) si sono susseguite, e i vincitori che hanno visto aumentare il loro punteggio da 68 a 70 (il minimo per accedere alla prova successiva) hanno sostenuto gli orali durante il periodo autunnale.
Ad oggi, luglio 2023, il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio dovrà esprimersi su una domanda controversa sulla poesia Chiare, fresche et dolci acque di Petrarca, nello specifico si chiedeva quale, fra i quattro versi citati, costituisse l’inizio della sirma (detta anche sìrima), che è la seconda parte di una strofa. Il problema è che la risposta a tale quesito è ancora dibattuta nel mondo accademico.
È possibile incasellare la ricerca letteraria in uno schema fisso? Il Miur ci ha provato, ma il risultato non è stato dei migliori: Petrarca è stato portato in tribunale, con lui la sua letteratura e sembra che, in vista della prossima udienza, che dovrebbe tenersi il 5 dicembre, il Tar abbia nominato un consulente esterno, un professore ordinario specializzato in metrica della Sapienza di Roma, che si dovrà esprimere in merito. Se l’annullamento della domanda verrà confermato, per coloro che ne avranno diritto sarà organizzata una sessione straordinaria di esami orali.
Chiare, fresche et dolci acque è un componimento poetico composto in settenari o endecasillabi (versi di sette o undici sillabe) divisi in strofe, chiamate stanze, di struttura identica. Ogni stanza è divisa in due parti: la prima, detta “fronte”, e la seconda detta “sirma”. Mentre i docenti e i ricercatori universitari sono d’accordo nel dire che la fronte termina al sesto verso, «coverta già de l’amoroso nembo», non è lo stesso per l’inizio della sirma. La commissione del concorso, così come la maggior parte dei manuali di metrica italiana, come quelli di Pietro Beltrami, professore emerito dell’Università di Pisa, pubblicati dal Mulino, sostiene che la sirma inizi già al settimo verso, «Qual fior cadea sul lembo», ma un’altra interpretazione, presente in vari testi, la fa invece iniziare dall’ottavo verso, «qual su le treccie bionde». Chi è d’accordo con questa seconda interpretazione sostiene che il settimo sia un verso a sé, detto “chiave”.
E quindi, come trovare il capo della matassa? Quale dovrebbe essere la risposta giusta?
Per sciogliere tale nodo, è stato scomodato anche Dante Alighieri che, nel suo trattato linguistico De vulgari eloquentia, modello indiscusso di Petrarca, il sommo poeta elogia coloro che fanno rimare «la chiusa dell’ultimo verso della prima parte» con «il primo verso della seconda parte», in questo caso «coverta già de l’amoroso nembo. / Qual fior cadea sul lembo». Questa soluzione metrica, chiamata concatenatio, non è comune tra tutti i poeti, ed è per questo che alcuni studiosi e manuali contano il “verso di chiave” come un verso a sé, anche se Dante lo inserisce nella sirma.
Questa breve spiegazione racchiude anni e anni di studio e di approfondimento letterario, motivazione per cui il quesito preso in esame non risulta essere affatto idoneo a un concorso pubblico a risposta multipla.
Alessia Sicuro