Vialli, Mihajlovic, Pelè

“Io credo che la vita è per il 20% quello che ti succede, ma per l’80% è come reagisci a quello che ti succede”

Gianluca Vialli

Non è mai facile trovare le parole davanti a un dolore così forte, che arriva in un momento storico che per il calcio potremmo definire devastante. Gianluca Vialli ci ha lasciati nella giornata del 6 gennaio, dopo una lotta durata 6 anni contro un male più grande di lui, che però non ha mai annichilito il suo animo da guerriero, e che lo ha reso un esempio di forza e resilienza per coloro che hanno vissuto e che vivono tutt’oggi un percorso simile al suo.

Gianluca Vialli era diventato una figura di una positività meravigliosa, che aveva trovato l’apice durante l’Europeo del 2021 vinto fianco a fianco con l’amico di sempre Roberto Mancini, con cui ha giocato alla Sampdoria dal 1984 al 1992 e vinto l’unico scudetto nella storia dei blucerchiati. La storia di una intensa amicizia, culminata nel catartico abbraccio sotto il cielo di Wembley dopo il successo di un titolo che all’Italia mancava dal 1968. Il Vialli-uomo aveva ormai superato nell’immaginario collettivo anche l’immenso e incredibile Vialli-calciatore, e questo nonostante avesse vinto un titolo in ogni squadra con cui ha giocato e avesse fatto parte della comunque gloriosa Nazionale che partecipò ad Italia ‘90. Lo spessore del Vialli uomo lo ha reso la meravigliosa persona che stiamo oggi piangendo.

L’addio di Vialli fa purtroppo da eco a quello di un’altra leggenda del calcio italiano, Sinisa Mihajlovic, scomparso il 16 dicembre dopo aver convissuto dal 2019 con una forma di leucemia mieloide acuta che lo ha costretto spesso ad assentarsi dalla panchina del Bologna. La storia del serbo è stata da sempre contraddistinta dalla sua enorme forza d’animo, che lo ha reso un autentico sergente in campo e fuori, con un sinistro che ancora oggi ci risulta di stordente bellezza, e la voglia di mettersi in gioco sempre come allenatore, sempre pronto a dare fiducia ai giovani talenti delle rose che ha allenato, perché se Donnarumma è il giocatore che conosciamo oggi è soprattutto merito suo. Merito del coraggio di un essere umano che fino all’ultimo ha lottato a testa più che alta contro una malattia così grave, senza mai perdere la dignità e senza mia smettere con ciò che più amava al mondo: il calcio.

E come possiamo dimenticare anche l’addio di uno dei più grandi giocatori della storia dell’umanità, Pelé. Il più grande brasiliano di tutti i tempi ci ha lasciati all’età di 82 anni dopo aver anche lui lottato per superare i problemi ai reni che lo affliggevano dal 2014, e un tumore per cui era già stato operato nel 2021. Per quanto possiamo sforzarci di indossare i loro panni, mai potremo capire il dolore immenso del popolo brasiliano, che Pelé aveva fatto comparire sulla cartina del mondo (come direbbero gli americani) dopo i 3 mondiali vinti e una carriera vissuta interamente in Brasile, in onore dei brasiliani. Una figura mitologica, per la quale nel 1969 la guerra civile nigeriana si interruppe per vederlo giocare in quel di Lagos; per la quale nel 1970 nacque la famosissima frase “How do you spell Pelé? – G-O-D”. Una persona importante tanto quanto i capi di stato internazionali, che abbiamo visto palleggiare con Bill Clinton e recitare al fianco di Sylvester Stallone in “Fuga per la vittoria”. Qualcuno dirà che Pelé, alla fine della sua carriera, ha promosso amicizia e fraternità tra i popoli più di qualunque altro ambasciatore, e probabilmente è vero.

Storie diverse, che però si intrecciano e ci ricordano la fragilità degli esseri umani. E per qualcuno non dovremmo cercare idoli tra persone che sono nate con la camicia e che vivono vite, ai nostri occhi, migliori di quelle di altri. Ma è proprio il loro modo di svestire i panni dei superuomini e di mostrarsi persone qualunque che ci fa avvicinare al loro animo e li rende speciali ai nostri occhi. E quindi che importa se troviamo la forza di andare avanti leggendo la storia di Vialli e cercando un esempio da essa? Il mondo del calcio ha perso 3 autentiche leggende nel giro di un paio di settimane, gli uomini hanno perso 3 figure di estrema positività e umanità. Ma le loro gesta e il loro modo di dimostrarci quanto siamo tutti uguali e quanto possiamo imparare gli uni dagli altri continueranno a fare da eco per chi verrà dopo di loro.

Andrea Esposito

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