Carta d'identità social network IV
Fonte: afweek.it

Italia Viva, nella persona del renziano Luigi Marattin, propone l’introduzione della carta d’identità come passe-partout per l’accesso ai social network con il fine di porre rimedio all’hate speech e alla comparsa di profili falsi. Sul contraltare del disegno di IV c’è la minaccia di veder compromesso il diritto all’anonimato, pietra miliare dell’attività dissidente in rete. Al sistema comunicativo uno-uno del telefono e uno-tutti della televisione, si è sostituito definitamente quello del tutti-tutti della rete e dei social network.

La proposta di IV

Introdurre l’obbligo di esibizione del documento d’identità: è questa la proposta di Luigi Marattin per fermare l’odio online e il proliferare di profili falsi, associando a ciascun account un identificativo di persona fisica perseguibile in caso di violazioni. In passato, anche il senatore Nazario Pagano di Forza Italia stava lavorando a un disegno pressoché identico, poi presentato alla Presidenza del Senato il 24 ottobre 2018.

«Stiamo pensando ad un sistema che obblighi – possibilmente tramite un meccanismo di certificazione esterna, in modo da non cedere dati personali ai social network, perlomeno più di quanto già non accada – chiunque apra un profilo social a farlo consegnando un valido e ufficiale documento di identità. Poi potrà assumere il nickname che vuole, per carità. Ma almeno è immediatamente e facilmente rintracciabile in caso di violazioni di legge».
(Dichiarazione di Luigi Marattin riportata da Globalist.it)

Marattin IV
Luigi Marattin (Fonte: ilFattoQuotidiano.it)

La semplicità con la quale è possibile creare un account sulle principali piattaforme di social network è uno dei motivi che ha spinto IV a presentare la proposta. Su Facebook, Instagram e Twitter è comune raggirare il regolamento d’utilizzo per creare profili non corrispondenti a individui realmente esistenti (pensiamo a nomi di fantasia, anagrammi o informazioni totalmente inventate circa la provenienza) o a generalità non proprio corrette (per esempio, mentendo sull’età, soprattutto quando viene indicata un’età minima al momento dell’iscrizione). Attualmente l’unica sanzione prevista, nel caso in cui qualcuno si accorgesse della cosa o provvedesse a segnalare il profilo, è l’eliminazione dell’account.

Sebbene sia già fattibile risalire all’indirizzo IP dal quale è stato commesso un reato, rendendone efficace l’identificazione, esistono innumerevoli casi in cui ciò non è possibile, poiché il responsabile potrebbe aver mascherato il codice o averne creato uno falso. Tra le altre cose, è verosimile risalire al dispositivo utilizzato, ma non a colui che ne ha usufruito. La responsabilità penale è personale (art. 27), per cui l’esistenza di un account non è di per sé garanzia di identificazione di un colpevole, perché chiunque potrebbe avervi effettuato l’accesso.

A tal proposito il deputato di IV Marattin, in risposta a un commento, aveva asserito che “il diritto all’anonimato va garantito ma contemperato con un’altra considerazione a tutela dell’interesse pubblico: la tutela dello spazio pubblico come un luogo in cui chiunque può essere chiamato a rispondere di ciò che scrive. Che è un principio di responsabilità (e quindi libertà), e non il suo contrario“.

Carta d’identità e libertà di parola

I social network raccontano la nostra vita meglio dei nostri diari. Qui esponiamo ciò che pensiamo, ciò che ci piace e ciò che detestiamo. Le nostre bacheche sono lo specchio delle nostre vite reali e immaginarie. Se esiste un confine sottile tra il vissuto e il raccontato, è qui che trova spazio il desiderio di dissimulazione e quello di ostentazione. Dove tutto appare trasparente e visibile, si cela la possibilità di omettere e di poterlo fare per soddisfare un’esigenza o una velleità. Sotto l’occhio minuzioso dell’osservatore esterno, il web è un gioco di forze tra l’anarchia e la regolamentazione.

Carta d’identità per usare i social: incubo o sogno?
Fonte: hackerwebsecurity.com

Come ha riconosciuto Michela Manetti (docente di Diritto dell’Informazione all’Università di Siena), l’anonimato in rete è strumento di libertà di espressione, che non a caso è considerato un diritto umano (e causa di un possibile naufragio della proposta). La rete è lo spazio, oltre al foro interiore, dove è possibile potersi esprimere senza dover esibire la carta d’identità. Coloro che si oppongono alla proposta intravedono la limitazione del diritto e della libertà di parola, denunciando l’incapacità dello Stato di far fronte alle proprie responsabilità, visto che il problema delle fake news va affrontato anche a partire dalle fonti. Attraverso una collaborazione tra i Provider e i poteri pubblici, la Deep Packet Inspection sarebbe già capace di individuare e censurare messaggi sgraditi.

Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure
(Art. 10.1 della Dichiarazione dei Diritti di Internet, citato da IusInItinere)

Tecnica, cultura e società

Da un lato IV, con l’auspicio di difendere la democrazia, minacciata dalla sindrome dei leoni da tastiera noncuranti delle conseguenze di quanto scritto e affermato in rete, a discapito dei malcapitati di turno. Dall’altro il M5S, che considera una tale misura al pari di una “schedatura preventiva assurda e preoccupante“. Il blog delle Stelle ha pubblicamente detto di no allo “Stato di Polizia“, facendo presente l’enorme rischio della messa in circolazione dei dati sensibili degli utenti.

Davide Casaleggio (Fonte: ilMessaggero)

Fatta salva la possibilità (al momento non considerata) di ricorrere a forme di responsabilità sussidiarie o concorrenti, così come avviene nell’ambito del giornalismo, gli effetti della tecnica ricadono sull’individuo con l’atto di presentazione della carta d’identità. Se esiste ancora uno scudo contro la tirannia della maggioranza, questo è proprio l’anonimato in rete, che “difende le idee impopolari dalla soppressione“. Il filosofo francese Pierre Lévy lo diceva già molto tempo fa: tecnica, cultura e società sono entità interconnesse. Ancora una volta il problema della tecnica è un problema politico, che ha a che fare con la produzione e la distribuzione della conoscenza.

A questo punto, si possono identificare almeno 3 ordini di priorità: non trasferire ulteriori dati ai gestori delle piattaforme; preservare la privacy degli individui; garantire un sistema di sicurezza che tuteli in caso di diffamazione. L’espropriazione del mezzo verso la sua nazionalizzazione non appare una prospettiva, poi, così tanto utopica.

Sara C. Santoriello

Giornalista pubblicista, aspirante politologa. Mi alimento di dubbi e curiosità. Sono una femminista lonziana, appassionata dell'aspetto Social nei Media. Scrivo di Politica, Genere, Etica e Tecnologie. Coordino la sezione Femminismi per Libero Pensiero. PhD Student in Scienze Sociali e Statistiche all'Università di Napoli "Federico II".

1 commento

  1. Avendo già il possesso di tutti i mezzi ufficiali di informazione: TV e GIORNALI, che possono essere gestiti solo da ricchi e ricchissimi, dati i loro elevatissimi costi e quasi sempre le esigue entrate dirette, ora, partono all’attacco dell’unico strumento ancora disponibile a tutti gli utenti che vogliono esprimere un parere o proporre una idea: la rete.
    La rete permette di mettere in comunicazione persone che risiedono a Lampedusa con persone che risiedono al Brennero, per restare in Italia, ma la rete è in grado di far dialogare persone di tutte le parti del mondo e questo per qualche custode di qualche orticello politico, non è accettabile, esattamente come : i capitali che sono liberi di andare ovunque, ma le persone no.
    Porre limiti alla rete, è come tigliere fette di libertà.
    Prendere a pretesto l’anonimato è una foglia di fico, perché chi è ricco o furbo, continuerà a propagare la sua porcheria, mentre chi protesta verrà fermato con più facilità. Non è un caso che chi lo propone sia andato sempre a discutere la propria proposta politica alla vecchia stazione e mai nelle sedi ufficiali del PD, pur essendo organi dirigenti del PD.

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